mercoledì 20 novembre 2013

Desiderio


Il desiderio erotico prima di tutto non è una lussinga fatta alla vecchia zia, ma è un modo di far capire cosa farei io con te. E diciamo non si fa intendere in modo cosi lisci o come gli occhi pieni di cuoricini di topolino inamorato, ma ti tiro per capelli che mi piaci, ti prendo in giro, ti evito perch mi metti in soggezione, quindi non una volta si manifesta come l'odio. Per quello poi quel antico gioco con i fiori che mi ama o non mi ama. Inoltre il desiderio maschile ti mette in soggezione, non lo fanno per cattiveria, anzi, ma ti mette in soggezione lo stesso e toglie la tua autorità. Per verità, a volte lo esprimono a posta per intimidirti. Se il desiderio maschile fosse un merito anche una pacca sul sedere sarebbe considerato un merito e insomma, non lo è.

martedì 29 ottobre 2013

Immagine e senso


Già nel mio libro h toccato l'importanza dell'immaginario nella costruzione dell'identità. lo stravolgimento dell'immaginario o la confusione tra immaginario e realtà ultima, la confusione tra immagine e senso.

mercoledì 18 settembre 2013

Giorgio Cosmacini


Sto leggendo per la prima volta un libro di Giorgio Cosmacini- Prima lezione della medicina. Probabilmente leggero anche altri suoi libri di storia e filosofia della medicina. Mi piace molto il suo stille chiaro, anche se troppo didattico, però chiarisce bene i concetti di base della medicina (terapia, cura, profilassi, prevenzione, recupero. Vengono messi in risalto tra le scoperte della medicina dello secolo scorso, le piu recente conquiste sociali e medicali, adesso sono al capitolo fisioterapia, neuroprischiatria infantile per disabili. Critica il medico che diventa sempre piu tecnico e meno umano nel suo rapporto con i pazienti, le prevenzioni anche inutili e che ne abusano- due critiche ceh le sento anche mie nei confronti della medicina di oggi. E accentua il rulo del rapporto società, politica, medicina, che poi puo avere risvolti anche negativi secondo me (colpevolizzare in maniera eccessiva fumo, certi alimenti, certi comportamenti) ma che sono importanti per esempio per assicurare una vita digitosa agli portatori di handicap

giovedì 12 settembre 2013

Perché l'ermeneutica (2004)



Io e l’ermeneutica

Vorrei accennare alcuni eventi significativi che hanno formato il mio interesse verso l’ermeneutica e le filosofie, le letture che hanno influito il mio pensiero.
   Fin da piccola soprattutto il cielo stellato era quello che mi riempiva il cuore di fascino e meraviglia. Sognavo di diventare astronauta, volare avanti e indietro nel tempo, vedere la nascita dell’universo, la formazione delle galassie, delle stelle, della Terra, della vita e dell’uomo. Leggevo libri scientifici di divulgazione e consideravo la scienza il solo metodo per conoscere la verità, perché le scoperte scientifiche mi creavano meraviglia. Nello stesso tempo mi piaceva leggere sulle diverse credenze stellari e nel destino dai babilonesi, a Pitagora, da Platone agli arabi.
    Nella seconda superiore avevo un professore eccellente di scienze socio umane, Muresan Cornel che invece di spiegarci il testo dei congressi di Ceausescu come doveva fare ci raccontava a bassa voce la storia delle religioni.
   Purtroppo in quel tempo non ho trovato nelle biblioteche nessun libro
per approfondire l’argomento del sciamanesimo per esempio; Ma leggendo la teoria di Daniken, ho chiesto il parere del mio professore su questa teoria. Più o meno cosi mi ha risposto: Quando si tratta di antiche culture di cui sono rimaste poche tracce l'uomo può progettare gli eventi della sua cultura, del suo orizzonte storico in quell’altra cultura, e siccome Daniken vive nel secolo della conquista spaziale vede nave cosmiche, radioattività ed extraterrestri.
    Infatti, ho pensato che se fossi vissuta nel tardo medioevo avrei voluto studiare l’astromedicina e non l’astronomia, magari a Granada per conoscere anche ciò che dicevano i medici e filosofi arabi o la Cabbala giudaica. Ho capito nella sua risposta che un’idea fondamentale dell’ermeneutica filosofica è che ci troviamo sempre già in una forma di precomprensione del mondo. Nella storia, nell’arte, nella religione non possiamo mai parlare della conoscenza certa, ma solo delle interpretazioni, e in queste interpretazioni dobbiamo essere coscienti della nostra coscienza storica, dei nostri pre-giudizzi culturali.
    Sul problema della conoscenza storica sono tornata nel primo anno universitario nel corso di Storia della cultura e civiltà, nella mia relazione seminariale sul monoteismo e sul politeismo, dove seguendo Leo Oppenheim evidenziavo l’impossibilità di conoscere l’esperienza religiosa originaria perché i segni rimasti di una cultura permettono interpretazioni diverse, interpretazione in cui sempre sarà presente il pre-giudizio culturale dell’interpretante. Poi nella Filosofia della storia ho approfondito la comprensione storica di Dilthey.
    Cercando le fonti di ispirazione di Daniken dalla storia delle culture amerinde ho trovato con vergogna di appartenere alla cultura europea il genocidio che abbiamo fatto in Sud America. Mi è piaciuto l’interpretazione di Tzvetan Todorov che fa della Conquista dell’America una storia esemplare di un scontro dove sono uno dopo l’altro malinterpretati le intenzioni comunicativi dell’Altro. Penso che una delle emergenze della cultura postmoderna è la comunicazione interculturale, la difficile relazione con Altro. L’ermeneutica e la fenomenologia sono quei metodi che lasciano sentire la voce dell’Altro.
     Solo dopo due anni di aver compiuto i studi liceali sentii finalmente con sicurezza che il mio interesse fondamentale era la filosofia. Mi sono preparata un anno cercando tutta la bibliografia trovabile nelle biblioteche della mia città. Volevo leggere di tutti i filosofi importanti almeno dei frammenti delle loro opere fondamentali. Allora ho letto per la prima volta Gadamer (in traduzione ungherese), mi piaceva molto la Fenomenologia dello spirito di Hegel, ma l’esistenzialismo è stato ciò che veramente mi ha colpito e ho trovato che solo in maniera estetizzante, guardando la vita come un gioco, dove solo il bello ci salva, si può sopravvivere alla tragicità dell’esistenza. Forse per quello mi é piaciuto molto il pensiero di Nietzsche, la vita é il desiderio di illudersi.

      Vorrei aggiungere alcune parole sulla mia religiosità, che volens nolens sarà implicito in un’analisi dell’ermeneutica dell’esperienza religiosa. Mi sono avvicinata del soprannaturale sotto l’influenza della mitologia greca dove gli dei puniscono la superbia, la troppo grande felicità, la Madre Dea, di cui parla Eliade, che dà vita e che distrugge senza nessuna pietà i suoi figli. Infatti la cosa che io sento più vicina al soprannaturale sono i fenomeni estremi, le tempeste, i fulmini, i terremoti, gli incidenti mortali improvvisi l’esperienza psicotica. Nelle letture bibliche ciò che mi ha sempre colpito é stato il Dio tremendo, quello che manda zolfo e lapilli su Sodoma e Gomorra, che colpisce Giobbe per scherzo e poi si lava i mani perché lui ha troppi impegni, il Dio dell’Eclesiaste che nega qualsiasi Giustizia umana, un Dio che é insieme imperscrutabile, inconoscibile, e tremendo. La lettura di Kierkegaard e di DD.Rosca –L’esistenza tragica l’ho trovato molto vicina al mio sentire. Inoltre la fenomenologia dell’esperienza del sacro di Rudolf Otto mi ha confermato l’idea che riconosciamo l’esperienza religiosa dopo il complesso sentimento di Fascinans, del Misterium Tremenum ed dell’Energia come forza eccessiva.
     Il prof. Aurel Codoban mio conduttore della tesi di laurea e studi approfonditi, era non a caso anche il professore di semiologia. A lui devo il modo in cui io mi sono avvicinato all’ermeneutica, potrei quasi dire che lui mi ha aperto gli occhi sulla esistenza di una razionalità significante oltre quella operazionale, che i significati creano il nostro mondo e in fondo il nostro modo di pensare è simbolico, che la metafora e la metonimia hanno il fondamento nella costruzione del nostro cervello.
E sempre lui ci ha insegnato la filosofia delle religioni. Secondo lui la filosofia è una religione, nata come esegesi alla religione greca antica e poi della Bibbia e interpretava la religione, come fenomenologia del Sacro, nel senso di Rudolf Otto ma il sacro e sempre nascosto nel profano come in Eliade analizzando le religiosità e il politeismo postmoderno.
   Nello stesso anno ho fatto, il corso opzionale di teorie contemporanee dell’arte dove ho scelto di fare la relazione semestrale su: Gioco e sacro nell’arte. in questa relazione ho approfondito la teoria del gioco nell’arte di Gadamer e l’ontologia dell’opera dell’arte di Heidegger.
   Sempre il prof. Codoban teneva anche il corso di ermeneutica e l’ermeneutica del amore. Può essere che anche per questo trovo l’ermeneutica dell’esperienza religiosa nel senso più largo, l’ermeneutica del esperienza dell’irrazionale i più incitanti problemi di filosofia, che permettono di raccogliere meglio di altri metodi i significati della profondità umana.
   Infatti seguendo soprattutto il pensiero di Paul Ricoeur, sulla cui teoria dell’interpretazione ho scritto la tesi di studi approfonditi, intendo l’ermeneutica della religione come l’incontro della fenomenologia del sacro con la psicanalisi (junghiana più che freudiana).
   Dopo la lettura di Jung qualcosa è cambiato nel mondo, per me fu come una rivelazione. Perché lui analizzava un problema che m’interessava da sempre: il collegamento dell’esperienza dell’estasi religiosa e dell’esperienza psicotica. Il metodo di ricerca é quello di analizzare le somiglianze tra le esperienze religiose profetiche e sciamaniche, con le esperienze psicotiche per scoprire un fondo comune tra le rappresentazioni numinose e l’inconscio collettivo dell’umanità. Non solo Jung ma tutta la scuola junghiana, con Marie Louis von Franz e le analisi delle favole della individuazione femminile ma anche la teoria di Melanie Klein sull’immaginario mostruoso dei bambini o sulla teoria del ruolo dell’arte in Bion.


Interesi di ricerca:
1. L’estasi religiosa e la follia. Il senso della follia da punto di vista dell’analitica esistenziale e della psicoanalisi della profondità, la follia come esperienza del sacro e non solo.
Personalmente mi interessa individuare dei punti di riferimento per analizzare il senso del delirio come esperienza del male, e fase propedeutica sia dell’esperienza religiosa che della conoscenza, inoltre sarei interessata ad analizzare l’esperienza della metamorfosi come esperienza di mancanza dell’identità ed anche essa fase propedeutica dell’individuazione; Analizzare gli elementi essenziali in questa esperienza, partendo appunto dal significato di mancanza o di perdita della realtà e analizzare a quel punto come viene a crearsi o a trasformarsi il significato della realtà. Analizzare quali sono gli elementi che permettono una comunicazione, cosa può definire una realtà comune per la comunicazione con l’altro.
Una interpretazione dell’altro visto dal punto di vista del suo Esserci vissuto come straniero, come essere che non è, il soggetto la cui familiarità con il mondo l’in der welt sein svanisce. Ed in tale ambito mi piacerebbe individuare i termini teorici in che maniera è collegabile il folle ed i suoi sogni e lo sciamano e le sue visioni alla vita dei “normali” che hanno bisogno di questi sogni, di queste visioni, che spesso formano le mitologie e l’arte sacra in cui si riconosce un popolo. Mi piacerebbe approfondire l’interpretazione di questa esperienza, seguendo anche la linea dell’angoscia nell’esistenzialismo o del tremendum in Rudolf Otto come fondamentali per l’esperienza religiosa. Mi piacerebbe analizzare il senso della follia nel senso di paura della perdita d’identità, sia nella cultura della colpa nella Grecia classica, sia nel medievo romanico dei bestiari e anche nella psicoanalisi delle profondità.

2. Il pensiero simbolico tardomedioevale, dal simbolismo universale alla pansemiosi metafisica, attraverso l’iconologia dell’arte romanico gotica e i metodi interpretativi attraverso le enciclopedie medioevali e le prime letterature, l’astromedicina dei bestiari, il simbolo religioso del mostruoso, o l’elemento monstruoso della esperienza religiosa medioevale, vista sia come il misterium tremendum sia come paura di diventare bestie. L’immagine di se dell’uomo medioevale. La vicinanza all’al di la.

3. La mitologia, il pensiero mitico. Il fantastico. Couliano diceva che la fantascienza é ormai il solo modo di fare metafisica. Il fantastico ha la capacità di mettere le domande fondamentali della filosofia perché usa il linguaggio simbolico, figurato perché é uno sguardo esterno alla realtà. Nella fantascienza manca l’intenzione di far finta della realtà, richiede una comprensione diversa, ci propone un mondo come se fosse e cambia la prospettiva della realtà, cambia la nostra percezione della vita. In fondo questo è il ruolo del arte. Il ruolo dell’immaginario nella costruzione di se. Il se si conosce solo come l’altro e per ritrovare se stesso deve percorrere i testi finzionali (fictional) della cultura, scrive Ricoeur. Nella mia tesi di Studi approfonditi ho analizzato il statuto della finzione in Umberto Eco, Thomas Pavel, Paul Ricoeur, e Maurice Blanchot ma anche l’uomo immaginario di Edgar Morin e nel doppio da Otto Rank. Uno degli metodi grazie a cui si realizza l’immedesimazione é il gioco da parte dell’autore con il tempo.

4. Il problema dell’Altro in Emanuel Levinas e in Martin Bubber . Considero che il problema dell’Altro è la problema della filosofia pratica la più stringente della nostra cultura. Levinas e Bubber appartengono alla tradizione ebraica e io vorrei sapere partendo appunto dalla loro concezione anche i collegamenti tra il divieto di rappresentazioni del Dio e l’immagine di Se e dell’Altro, seguendo in parallelo le immagini del Sacro di se e del Divino nell’arte religiosa. L’esperienza religiosa e l’incontro con l’altro. Monoteismo e politeismo nello specchio della relazione con l’altro.

 

mercoledì 14 agosto 2013

Le frecce di Kama


Il Dio Kama ha 5 frecce 1. quello che scatenano il parossismo del desiderio (starnitoarea paroxixmului dorintei) 2.quello che provoca l incendio (Incendiatoarea 3. la follia Nebunia 4. Parjolul 5. Moartea

martedì 13 agosto 2013

Hiszem

Hiszem hogy az ember a mai világban élhet őszintén és harcolhat becsületesen. Hiszek a szép álmok megvalósulásában, hiszek a Mikulásban, hiszem a karacsonyfát és a kisjézuskát. Hiszek a mesékben, a legendákban, hiszek abban hogy titokban a játékok (meg az ellenfelek is) szeretik egymást' Hiszek abban hogy maradhat bennünk valami játékos, valami gyermeki ártatlanság életünk megpróbáltatasain át

Omnis mundi creatura

Omnis mundi creatura quasi liber et pictura nobis est in speculum nostrae vitae, nostrae mortis nostri status, nostrae sortis fidele signaculum (Alain de Lille, 1128-102, Anticlaudiam)

lunedì 12 agosto 2013

Il passato

Dove è il passato? Ma siamo siccuri che è davvero esistito e non è stato solament eun sogno. Il passato non sono solo i nostri ricordi, , è anche il nostro corpo testimone di una origine, del fatto che non esiste solamente il presente. Ho scoperto a caa mia sul balcone molte cose di me stessa: una collezione di riviste tecnico scientifiche del tempo di Ceausescu: la tecnica e la scienza andava forte, e infatti paragonabile come consistenza con le riviste di oggi, s enon piu consistente, hanno sostenuto il mio interesse per astronomia, cosmologia, ma anche adn o vita delle api, energie alternative. Ho scoperto tanti modelli di sartoria, solo che non trovo la rivista da dove vengono, modelli tipo Burda Ho scoperto i miei quaderni con canzoni che cantavamo insieme alla mia sorella. Ho scoperto una collezione di riviste di pasticceria di riviste di fantascienza Sono proprio una persona enciclopedica :D

mercoledì 7 agosto 2013

Jung (1995 bejegyzes)

Mintha gazdagabba valt volna a vilag Junggal es a Fowells Magussavval. Ugy erzem most mar megertem a szeretetet, hogy iert is dobal ossze vissza es miert kell rea hallgatno, kovetnem. Ez a beavatas, ez a jel. Es az utat is jobban ertem meg azt is hogy "Ismerd meg magad!"a veszelyes es a titkos utat onmagink fele

Realtà, valosag

Amikor mar megnevezed a dolgokat, mar kulonvaltal toluk, ar felig idegenek szamodra, szavak tavolsagot tesznek kozted es a valosag kozott.. Augy egy vagy edesanyadal ert o a tied, intim fuzioban vagy vele, ez winnicot. in viata practica faci fara sa te gandesti ca lumea e acolo, ca exista sau nu, ca si cum ai trece cu ochii inchisi un pod si intinzi mana, nu esti sigur nici macar ca podul exista. Devine real pentru ca il treci, pentur ca il manipulezi, pt ca crezi in el. Dar crezi pt ca e acolo

Danza e musica

musica e mare, il mare, il destino, perché ci piace la musica (pitagora, terapia musicale, Nietzsche. La musica di mare coe risposta all'angoscia esitenziale. Senzo della danza, le donne e la danza, gli uoini e la danza bellica, la forza delle donne nelle danze, la coppia, il gruppo.

Paura dei demoni

-mit meselnek a diakok? mitmeselnek a papok? ai megjarta? akin segitet? hirek a boszorkanykodasokrol, alkolizmus-megszalottsag, apura della parola diavolo leggalabb 25 tortenet nyoman

Stanislav Grof-Dincolo de ratiune

Il libro comincia con una rassegna delle teorie della conoscenza ch eettono in dubbio, o relativizzano il paradiga scientifico-materialista. Alcune paradigi per spiegare la loor visione sulla realtà coerentte escludono dal discorso gli fenomeni che non riescono spegare ma anhxce le vicende biografiche dei fondatori di quella paradigma (Newton era religioso e alchimista, Cartesio dimostrava con la matematica l'esistenza di Dio, mentre l'esaltazione del dualiso materia- mentre lo ha trasformato in un materialista seplificante) I disturbi psichiatrici sono per esempio tra quelli fenomenoi che una visione puramente materialistica non puo spesso che ridurre a malattie. E vero che la mente ha le sue basi neurofisiologiche , ma Grof paragona questo con la situazione quando nel TV per qualche errore technico la ricezione del segnale viene sbagliato, ma nessuno ci pensa che quelle realtà che sono presentati provengano dall'apparecchio televisivo. Ma anche i fenomeni osservati dalla tanatologia o eventi paranormali richiedono una nuova paradigma della realtà segue)

venerdì 2 agosto 2013

Tutto è vanità

Tanto odio nel mondo, nel nome dei ideali. Di qualsiasi cosa efimera, di qualsiasi bel ideale, o semplice ideea l'essere umano riesce fare un arma per uccidere.

giovedì 25 luglio 2013

Sotto l'assedio pubblicitario

Ho già vissuto una dittatura, questa è un'altra, quella del consumismo, dove ognuno puo in ogni momento entrare nel tuo privacy, attraverso le mass media o anhce bussare alla tua porta per vendere qualcosa. Non credono nemmeno che non hai soldi. Se dicevo a un zingaro mendicante che non ho soldi mi lasciava in pace, questi venditori , il marketing di oggi non hanno neanche l'ideea che eco uno puo anche non avere soldi. I zingari lo sanno che è possibile, tra l'altro non gli piacciono gli uomini senza soldi, ma quelli che si vantano con tutto cio cehe hanno. Con ogni costo vogliono spremare qualcosa da te. Loro hanno diritto ai tuoi soldi, al tuo, tempo, alla tua attenzione, al tuo cervello. Ti condizionano attraverso le pubblicità che appaiono sull'internet o sulla strada.

mercoledì 24 luglio 2013

Perché abbiamo fantasie sessuali?

David Camerun ha vietato ieri la pornografia in internet in Ingliterra e in Scozia. Niente sesso, siamo inglesi. Ma la cosa mi ha fatto pensare al perché ci vengono le fenatasie sessuali. Perché non è vero che le fantasie ci vengono per colpa del porno. Ci vengono comunuqe. A me si, malgrado sono cresciuta in un mondo senza porno e senza nudi in pubblicità o nei film. E penso di non essere sola. Perché è l'istinto sessuale che ci fa vedre sesso anche là dove forse non c'è o è solo una lieve analogia.
Non lo so, ma cio ceh lo so di siccuro è che le abbiamo indipendentemente della società dove viviamo.
Non siamo solo la nostra raggione e non desideriamo solo cio che vogliamo desiderare.
Non solo in questo mondo dove nfatti c'è una spinta quasi innaturale verso il sesso, i bambini non riescono scopriro come fosse un loro segreto, come l'avevamo scoperto la mia generazione.
Ma la mia domanda è morale. Se la natura ci ha instillato desideri che comportano in se situazioni di piacere-violenza-umiliazione ci sarà un perché, anche perché questi sentimenti sono inutili per la riproduzione.

lunedì 22 luglio 2013

La liberazione delle donne

La storia è piena dai movimenti, guerre, ideologie che volevano liberare una o piu o tute le donne da qualcosa: da menelao, dai arabi, dal patriarcato, dai lavori domestici, dal proprio marito,
non importa da cosa basta liberarle.

mercoledì 17 luglio 2013


tot ce mişcă-n ţara asta, râul, ramul,
Mi-e prieten numai mie, iară ţie duşman este,
Duşmănit vei fi de toate, făr-a prinde chiar de veste;

martedì 2 luglio 2013

Il silenzio degli dei


Interessantissima l'ipotesi di Jaynes sull'espereinza religiosa e il cervello umano. Secondo lui, nell'emisfero cerebrale destro, in modo simetrico con la zona di Wernicke dell'emisfero sinistro (fondamentale per il linguaggio) c'è il centro da dove per i psicotici provengono le allucinazioni sopratutto udditive. Questa zona, nei tempi pre-istorici, cioe prima della scrittura funzionavabno nella maggior parte della persone, o comunque nei re, ognuno sentiva di avere il suo rapporto diretto con la divinità.
La storia ha cambiato questo, cosi da u certo punto in poi appaiono le preghere a un dio scomparso ceh non parla piu, o che parla attraverso segni, cosi c'è bisogno di divinazione.

Quasi mi vengono delle idee per dire che siamo dei robot, creti da qualche genio e poi abbandonati per conto proprio.

L'uomo non aveva quella coscienza di se che richeide di indietreggiare due passi per vedere i propri fatti , ma azionava automaticamente come lo facciamo quando seguiamo i nostri automatismi, e infatti spesso riusciamo meglio fare le nostre attivita, la coscienza in questo caso significa un certo livello di mancanza di esserci se poso usare il termine heideggeriano, la coscienza è alienazione, è assenza o soitudine.
(segue)

Si sa che l'uomo è apparso sulla terra anni fa ma i primi segni di scrittura di autocoscienza appaiono solo 6000 anni fa: le statuette, le prime forme di scrittura.
Ma prima di quel momento come pensava l'uomo di se stesso, come vedeva se stesso.

La rsposta di Jaynes è che l'uomo non era per nulla autocosciente, non aveva nulla simile della mente, interiorità di oggi.
Viveva pratticamente in uno stadio simile alla schizzofrenia di oggi, senza un senso stabile di identità, con un aumentato livello di percezione (ma senza che questo sia rapportato a una interiorità) e in un stadio di mancanza di stancheza.

Questa era l'epoca dell'espereinza religiosa, che oggi, e dai sumeriani in poi cioè ci appare coem un'epca di nostalgia per gli dei, che con lo sviluppo della coscienza e dell'io si sono sempre piu allontanati da noi.
(e anche se tornassero non li capiremmo piu, forse succede proprio nella schizzofrenia ma appunto danno comandi opposti, come era gia successo all'inizio della fine dell'epoca bicamerale, quando fidarsi complettamente diventa hybris. Di hybris ci si puo diffendere solo attraverso il dubbio e esercizio volontario edll'umiltà)

(questa era la amentalità dell'uomo paleolitico, dei popoli cacciatori, chissa se l'invenzione dell'agricoltura, e del grano abbia qualche effetto)

Platone parlava di pazzia attraverso il quale i dei ci mandano le miglior doni: profezia, estasi, amore, ispirazione arrtistica.
Non lo dice Jaynes... l'amore a volte c'è ancora. O è sparito pure quella? Nell'inamoramento non c'è un risveglio della mente bicamerale, di deificazione.

In tutte le religioni, ma anche nella scienza, nelle ideologie poi riappare l'archetipo ella cduta da una condizione di innocenza originaria e le teorie di salvezza per poter tornarci. Ma gli dei hanno smesso di parlarci.

giovedì 20 giugno 2013

LA MORTE E LA RELIGIONE IN C.G.JUNG Teszler Lucia Angela (originally in Proceedings of Conference on Metaphisics in Third Millenium (pag.199-215) http://metaphysics2009.org/index.php?option=com_docman&task=doc_view&gid=212&Itemid=37&lang=en In a traditionalsociety, death means the ful filment of life. Life does not disappear through death, on contrary, the conscience of death makes life worthly of being lived and seen as a duty, as process of perfecting. For Freud,the need to believe, the principle of any religion is the fear of death, both the fear of the end of his own life, and the terror of the terrible power of dead. For Jung, thingsa are different: religion, the religious feeling is a gift, human being is born whit it in soul and it is connected to the capacity to marvel and it is expressed – aware of it or not- through symbolical activity. Significant is that for Jung a Geist – Spirit concepts exist while it did not exist for Freud. But how does this Spirit manifest itself and what is its connection to death in Jung opinion? Jung is obsessed with the passage between life and death. His licence paper is about occultism. An essential part of the soul remains alive thanks to the collective unconsciousness. The fact that his guru was Filemone, a gnostic wise man dead thousand years ago, is not an accident. On the other hand the confrontation with the unconsciousness, the nekya, means for Jung the departure for the dead world. The collective uncounsciousness follows other rules than those of cause and effect, it follows those of syncronicity. All this talk about death let us see- in Jung’s opinion- a supposed apriori faith in a kind of immoratlity. I would like to analyze these complex interconnections betweemn these experiences and death in Jung’s theory. Per motivi di migliore sistematicità ho scelto di approfondire il rapporto complesso religione -morte- immortalità in Jung paragonandola con lo stesso rapporto religione - morte in Freud. In fondo i due, uno il maestro e l’altro il discepolo prediletto hanno costruito le loro concezioni sulla religione confrontandosi l’uno con l’altro La paura della paura della morte e il bisogno di credere in Sigmund Freud Per Sigmund Freud la religione è una forma di illusione, illudersi che le sofferenze hanno un senso, che il mondo e condotto da un Dio buono, paterno e da una Provvidenza. Il bambino, e similmente a lui tutti i uomini e tutte le culture primitive costruiscono l’immagine di Dio sul modello del padre 1 che protegge, impone le regole e perdona. Questi meccanismi difensivil’illusione di essere protetto, perdonato, sono per Freud le punti chiave della religione. Infatti tre sono i compiti fondamentali del Dio e degli dei: esorcizzare le paure sentite davanti alla natura, riconciliarlo con la crudeltà del destino, in particolare modo quando questa si manifesta attraverso al morte e infine rappacificarlo con le regole imposte dalla società2. Probabilmente il secondo compito della religione, quello di dare senso a un destino crudele e alla morte è il compito più difficile, e spesso l’uomo rimane tragicamente deluso, con il presentimento che nemmeno gli Dei, o Dio possono cambiare il destino. Infatti nella Grecia antica le Moire, che tessono e poi tagliano il filo del destino, stano sopra gli dei, e cosi anche gli dei hanno un destino alcune volte doloroso ed ineluttabile. Freud considera che la negazione della morte, la sublimazione della paura della morte in religione avviene in diverse forme: attraverso la nascita della credenza negli spiriti dei defunti3 che sopravvivono in una forma o altra; attraverso il sacrificio, sacrificio che rende senso all’esperienza della morte e attraverso il mito della resurrezione. Cosi il concetto di Dio, di Sacro nasce come negazione della tragicità della morte, cosi un nulla assoluto, un nonsenso, l’esperienza dell’enigma par l’excellence, l’enigma della morte, vengono compensate con un tutto assoluto, con la pienezza del significato, la nonesistenza assoluta viene compensata con una esistenza suprema4. Ma con l’illusione protettrice che ce la offre della religione l’uomo rimane sempre un bambino, che si nasconde dietro l’immagine del padre per esser protetto dalla morte e dal proprio destino. Freud da vero erede degli illuministi5 e del positivismo considerala paura della morte come un residuo delle epoche precedenti di cui l’uomo moderno deve liberarsi, e le religioni, gli spiriti e le oscure ombre dell’inconscio sono appunto le malattie portate da rimanenze di uno stadio pre-cosciente , paure che la condizionano negativamente e di cui si deve eliberare. Invece Freud non ci spiega cosa si dovrebbe fare, come si dovrebbe gestire questa paura. Nelle sue opere tardive6 lui stabilisce addirittura che dentro di noi accanto alla pulsione erotica, che cerca la soddisfazione degli impulsi e dei desideri, c’è anche il principio tanatico, la pusione di morte cioè la ricerca inconscia della rovina e dell’autodistruzione. Questa pulsione si nasconde spesso dietro discorsi di valori della vita, per esempio del motivo della guerra (independenza, libertà), il gusto del gioco di azzardo o gli sport estremi. Attraverso questo istinto siamo noi stessi che desideriamo provocare la nostra morte. Jung e la religione Non mi propongo qui di dare un’immagine complessiva della religione in C.G. Jung, che comunque sarebbe un lavoro molto più impegnativo, vorrei solamente sottolineare che il punto di origine dell’esperienza religiosa in Jung è radicalmente diverso da quello di Freud. Seguendo anche in Jung l’esperienza religiosa primaria vediamo la sua autobiografia. La sua prima esperienza scombussolante del sacro, a quattro anni è il sogno dove ha la visione del dio fallo sotterraneo interpretata cosi dell’autore. Chi parlava in me? Quale spirito aveva immaginato quelle esperienze? Quale intelligenza superiore operava? (…) Chi congiungeva il mondo celeste con il mondo sotteraneo e poneva le fondamenta di tutto ciò che avrebbe agiato la seconda metà della mia vita con tumulti appassionati? (…) Chi se non quel ospite straniero venuto sia del mondo celeste che da quello degli inferi?7 Certamente si tratta dell’interpretazione di Jung ottantenne e non del vissuto di Jung bambino. Comunque vediamo che l’esperienza religiosa originaria è interpretata come l’irruzione di qualcosa di estraneo nella coscienza ovvero nel sogno del fanciullo. Questo “ospite straniero”, non appartiene al proprio, al familiare, ma è qualcosa totalmente diverso, un “ganz andere” , di un’età immensa che impone con un senso indiscutibile di oggettività la sua presenza. La rappresentazione del Dio come phallos cioè come uno spirito fecondatore verrà approfondita da Jung in Wandlungen der Symbole. Nel ricordo è risentito come uno spirito superiore che stravolge ed affascina sia il bambino sia l’anziano Jung che ricorda e che interpreta questo sogno come una sacra iniziazione, un collegarsi del cielo con il mondo sotterraneo, un momento sacro che lo porta fuori dal tempo, per mostrargli in noce tutta la opera futura della sua vita, tutta la sua vocazione. Jung avrà ancora molti sogni in cui il mondo del sacro gli si impone scombussolando la concezione comune della religione, ma nessuna di queste esperienze è collegata con qualche forma di paura della morte. I sentimenti con la quale sono descritte le esperienze religiose sono tutt’altre. Per esempio come fanciullo, lui scopre che oltre la sua personalità infantile cangiante lui è anche un altro, ha una seconda personalità descritta cosi. Oltre al suo mondo scolaresco: esisteva un altro regno, un tempio nel quale chi entrava si sentiva trasformato e di colpo soprafatto da una visione dell’intero cosmo, si da dimenticare se stesso, vinto dallo stupore e dall’ammirazione. Qui viveva “l’Altro” al quale Dio era noto come un segreto nascosto, personale e al tempo stesso più che personale; qui nulla divideva l’uomo da Dio, come se la mente umana potesse mirare la Creazione all’unisono con Lui (RSR, p.74)8 Jung scopre che c’è una parte profonda in noi per la quale la vicinanza del Sacro è naturale, anzi che veste alcuni tratti del sacro, che trasforma e rende invincibili. Sembra che infatti al questo livello si vive in una vera unione segreta permanente tra dio e uomo. Certamente questo sentire e questa scoperta deve rimanere segreta. Proprio questa è l’età quando il piccolo crea legami segreti con il fuoco che diviene attraverso un investimento animistico il “fuoco eterno, con la sua pietra che diventa lui stesso, con un bambolotto da lui costruito, il cui facsimile lo scoprirà molto più tardi in un tribù africano. Il ricordo di queste esperienze fanciullesche non lo porteranno alla conclusione che l’esperienza religiosa primaria sia qualcosa di infantile, al contrario, che esiste una oggettività nelle metamorfosi, nelle vicende dello psyche che si manifesta attraverso simboli religiosi universali. Il fatto che l’ investimento animistico spontaneo del mondo in aura sacra risentita come miracolosa, scioccante e segreta è una proiezione della nostra anima non riduce il suo valore poiché non possiamo in nessun caso banalizzare o semplificare l’anima, ovvero lo spirito umano. I sentimenti dominanti dell’esperienza religiosa sono lo stupore- lo scombussolamento degli comuni criteri del sentire religioso e nello stesso tempo l’ammirazione, il sentimento che qualcosa grandioso e miracoloso ci si manifesta, tutte queste avvolte in un segreto nella quale le più belle rivelazioni individuali devono essere avvolte. Cosi Jung rimane con il sentimento che al di la del’ esperienza religiosa comune “c’è qualche altra cosa, una cosa assai segreta di cui nessuno sa niente (p.48). Se prendiamo come riferimento la definizione dell’esperienza religiosa di Rudolf Otto, possiamo dire che Freud accentua l’importanza del sentimento creaturale- il sentirsi polvere e cenere avanti al padre- creatore, e del tremendo- della paura angosciante, nella nascita della religione (come risposta a queste angosce ) mentre Jung accentua l’elemento fascinans, la fascinazione e l’energia. L’inconscio e l’anima mundi, l’eredità romantica dello psicoanalisi. La psicologia analitica di Jung, come la psicoanalisi di Freud è tardo erede del romanticismo10, solo che i loro modi di elaboralo sono diverse. La sola psicoanalisi invece è l’erede del positivismo, dello scientismo e del darwinismo, e rinuncia al livello cosmico dell’inconscio dove secondo il romanticismo la natura e lo spirito ritrovano i loro sorgenti comuni; La psicologia analitica rifiuta l’illuminismo e ritorna alle fonti originali della psichiatria romantica e della filosofia della natura. Questa differenza determina chiaramente anche la loro diversa visione dello spirito e della morte. D’altronde secondo Barnaby e Acierno la differenza fondamentale tra Jung e Freud è proprio il fatto che mentre per Jung esiste un concetto dello spirito mentre per Freud no. Vediamo in poche righe cosa intendeva il romanticismo con lo Spirito e da qui si vedranno chiaramente le somiglianze con il concetto dell’inconscio collettivo di Jung. Il romanticismo, in opposizione con l’illuminismo affermava i valori dell’irrazionale, di qui l’interesse per le manifestazioni dell’inconscio: sogno, genialità, malattia mentale, miti e simboli – che non erano concetti astratti o errori della storia ma forze vitale e realtà. Cosa è l’inconscio nel romanticismo? I romantici ritenevano che il fondamento della natura è lo stesso fondamento dell’anima umana, per loro c’è un unità fondamentale tra l’uomo e natura. “La natura è spirito visibile, lo spirito è natura invisibile” diceva Schelling. L’anima del mondo ha prodotto la materia, la natura vivente e nell'uomo la conoscenza. Secondo Carus11, che ebbe un’influenza decisiva su Jung l’inconscio è il vero fondamento dell’essere umano, essere le cui radici affondavano nella vita invisibile dell’universo e perciò era il vero legame dell’uomo con la natura. Per Schopenhauer la cosa in se kantiana è uguale alla volontà e all’inconscio. Questa è una forza dinamica cieca che regna nell’universo e che guida l’uomo, ma che lo inganna anche, guida i nostri pensieri ed è l’antagonista dell’intelletto. Infine, per Eduard von Hartmann l’inconscio, è intelligente anche se cieco, fa da struttura portante all’universo visibile e veste tre forme; inconscio psicologico, fisiologico e l’inconscio assoluto- che è la sostanza dell’universo. Nel pensiero antropologico e psicologico di Schopenhauer e poi nel pensiero neoromantico di Nietzsche possiamo trovare molti termini, concetti, discorsi simili a quelli di Freud, ma nella rappresentazione dell’inconscio Freud esclude quell’elemento romantico che collegava l’anima umana con l’intero universo. Jung invece ristabilisce questo legame tra anima individuale e anima mundi attraverso l’inconscio collettivo. Il romanticismo aveva un’attrazione anche verso la morte, che attraverso quest’anima mundi o grund assicurava la sopravvivenza dell’anima. Jung e la morte Nel pensiero razionale-illuministico freudiano, anche se il ruolo della ragione è quella di svelare i meccanismi irrazionali – fin’allora negati - e togliere i nostri pregiudizi su noi stessi, non per trovare il senso positivo, profondamente umano a questa irrazionalità e alle pregiudizi, come fa l’ermeneutica, ma per poterla considerare una cosa infantile, oscura, da oltrepassare. Alla fine togliendo diritto di cittadinanza di tutto ciò che è irrazionale, l’uomo perde il legame con la propria mondaneità e con la sua anima, che è molto più della razionalità ovvero della coscienza umana, la paura, l’angoscia avanti alla morte aumenta e appare in diverse forme nevrotiche, poiché la morte sembra insensata, non sembra più una meta o un compimento12 della vita. La religione è una preparazione alla morte, e le idee mitologiche-religiose non sono imposte da un pensiero razionale ma ci assalgono dalla profondità dello nostro più profondo strato psichico, che non ha a che fare con la coscienza. Le verità religiose ci assalgono come rivelazioni., proprio perché sono prodotti spontanei dell’inconscio e perché hanno una storia considerabile. Essi sono lentamente cresciuti, come piante, nel corso dei millenni, quali manifestazioni naturali dell’anima dell’umanità. E loro ci aiutano a capire, ad accettare come vicenda naturale dell’anima, che la morte è proprio il compimento della vita. Cosi come la traiettoria di un proiettile termina al bersaglio, la vita termina nella morte, che è quindi il bersaglio, lo scopo di tutta la vita.14 Jung e ossessionato dal passaggio vita morte le mie opere sono stati tentativi sempre ripetuti di dare una risposta al problema della correlazione tra “al di qua” e “al di là” (RSR p.354) ma nelle sue opere possiamo parlare dell’angoscia della morte solo come una forma malata di paura del vivere. Lui ha scelto di scrivere la sua tesi di laurea sull’occultismo- proprio perché lui credeva apriori, grazie alle proprie esperienze, in una certa forma d’immortalità dell’anima. Poi non dobbiamo dimenticare la sua nekya, la discesa nel regno dei morti e il dialogo gnostico Septem Sermones ad mortuos che collegano la vita con la morte attraverso l’inconscio collettivo. Come studente nelle conferenze di Zoofingia Jung ipotizzava già l’esistenza di un anima: immateriale, trascendente, fuori del tempo e dello spazio, da sottoporre a un’indagine scientifica attraverso lo studio del sonnambulismo, l’ipnosi e le manifestazioni spiritistiche. La sua opera mira tal scopo, a dimostrare con mezzi scientifici, attraverso l’empirismo e fenomenologia, l’esistenza di questa anima eterna. Il punto di partenza per Jung per formarsi una opinione sulle basi scientifiche sulla vita dell’aldilà è costituito dagli indizi che ci vengono dall’inconscio per esempio nei sogni, anche se una tale teoria sarà costruita sulla intuizione e rimarrà sempre ipotetica, ma ci potrebbe rendere piena la vita. Dalla sua esperienza psichiatrica, dai molti analisi dei sogni dei moribondi o dei malati Jung osserva quanto poco conto l’anima inconscia facesse della morte.15 L’inconscio si preoccupa tanto che l’uomo che sta per morire diventa cosciente dalla vicinanza della morte, è una grande differenza che la coscienza vada a pari passo con l’anima, oppure si abbrachi ai pensieri che il cuore ignora. Ma una volta coscientizzata la vicinanza alla morte i sogni diventano normali, comuni. Come se la morte fosse una cosa non tanto essenziale, al massimo una tappa che si deve conscientizzare. Poiché “la morte significa uno stato di estinzione della coscienza e quindi una sospensione totale della vita psichica nella misura in cui questa è capace di coscienza.”16 Sembra che l’inconscio, cioè l’anima umana si preoccupi di più del modo in cui si muore che del fatto effettivo che si muore. Tutto questo perché solo la vita consciente smette di esistere ciò che presuppone che ci sarà un’altra parte , la parte inconscia dello spirito, l’anima umana, che abbiamo visto possiede una certa autonomia prosegue la sua strada. Per essa la morte non coincide con la conclusione di un processo ma uno tra i molti eventi lungo la via dell’individuazione. Anima e eternità Nelle sue introduzioni al Libro tibetano dei morti e al Libro tibetano della grande liberazione critica il pensiero Occidentale per aver rinunciato dopo il medioevo al ragionamento analogico, alla credenza in uno Spirito attraverso il quale l’anima individuale sia legata all’universo, e all’anima del mondo17. E la conseguenza dello sviluppo della filosofia occidentale di aver staccato lo spirito “dalla sua originaria unità con l’Universo” “L’uomo ha smesso di essere microcosmo” la sua anima non è più “la scintilla consustanziale di questo né una scintilla dell’anima del mondo Chiaramente risulta che il mondo umano viene costruito dalle proprie credenze, più che di una verità razionalistica. La sua nostalgia e le sue intenzioni si inquadrano nella filosofia romantica della natura e nella psichiatria neoromantica ma non significano meno desiderio di ritrovare il legame dell’anima con la natura profonda delle cose. Lui vuole ricollegare lo spirito umano con la sua originaria unità con l’universo. L’Oriente, al contrario dell’Occidente non ha rinunciato allo Spirito, come dimostrano i libri da lui introdotti. Jung dichiara di non aver nessun presupposto metafisico bensì la sua teoria dell’inconscio collettivo é una forma di Anima Mundi collegata con lo spirito individuale, vestita e spiegata in panni scientifici. La sua teoria dell’inconscio collettivo è una dimostrazione scientifica dell’esistenza di uno spirito oggettivo, autonomo, fondamento delle immagini dell’anima. In effetti, anche se usiamo spesso il termine anima, spesso con connotazioni riduzioniste “né sappiamo, né supponiamo di sapere che cosa sia lo psichico”. I simboli religiosi, o le proiezioni animistiche provengono dallo Spirito inconscio, dalla psiche ma l’essenza della psiche si estende in tenebre che sono molto al di là delle nostre categorie intellettuali18 (AM, p.444). La coscienza individuale è considerata come espressione momentanea e caduca di un’altra sostanza che invece perdura. Quando riflettiamo sull’incessante sorgere e decadere della vita e della civiltà, non possiamo sottrarci a un impressione di assoluta nullità, ma io non ho mai perduto il senso che qualcosa vive e dura oltre questo eterno fluire. Quello che noi vediamo è il fiore che passa, ma il rizoma perdura.19 Per circoscrivere il modo di esistere di quest’anima che perdura, oltre la vita individuale, Jung mette in discussione la validità, i limiti della validità dei concetti spazio, tempo, causalità. Infatti lui considera le categorie kantiene della coscienza come categorie apriori che si limitano a definire la coscienza, imponendole i limiti di funzionamento, dando un fondamento valido alla sua idea sulla esistenza di una parte dell’inconscio che non entra in quelle categorie cioè nell’esistenza dello spirito extra spazio – temporale. Comunque sono indicazioni nei sogni, miti, fantasie, che almeno una parte della psiche non è soggetta alle leggi dello spazio e del tempo- prove di esperimenti di percezioni extra- spaziali, la psiche a volte funziona al di fuori della legge di causalità spazio –temporale. Uno degli argomenti più forti per dimostrare la realtà dell’anima fuori dello spazio-tempo sono gli eventi sincronici, modello elaborato di Jung in collaborazione con il fisico W. Pauli, che ha aggiunto fatti provenienti dalla fisica elementare. Gli eventi sincronici sono legami acausali tra eventi oggettivi ed eventi soggettivi, la significativa coincidenza o corrispondenza tra un accadimento psichico ed uno fisico. Il loro legame non può essere ridotta a una causalità nello spazio tempo, ma hanno un’unità di senso. Cosi: Dobbiamo prendere in considerazione il fatto che il nostro mondo- con tempo, spazio e causalità- è in rapporto con un altro ordine di cose (che si cela sotto o dietro di esso), nel quale né qui e li, ne prima e dopo hanno un significato20. Come conclusione ovvia a questi fatti per Jung si impone il fatto che: AM, p445 La psiche partecipa profondamente a una forma di realtà extra- spazio –temporale e appartiene a ciò che in modo simbolico viene detto “eternità”. Intendiamo attraverso questo temine eternità, non solo una sopravvivenza temporale dopo la morte, ma il fatto che l’anima nello stesso tempo che in maniera conscia vive nello spazio tempo, la sua parte che appartiene all’inconscio collettivo o all’anima mundi, vive la sua condizione che trascende lo spazio e il tempo

martedì 18 giugno 2013

Il senso metafisico del desiderio dell'immortalità


Relazione presentata alla Conferenza Metafisica nel terzo millenio a Roma il 2003


LA SIGNIFICATION MÉTAPHISIQUE DU DÉSIR DE L’IMMORTALITÉ
TESZLER LUCIA ANGELA,
Oradea, Romania

Resumé:

Nous allons analyser certains aspects concernant le desir, tel le desir de l’immortalité, tenant compte des aspects soteriologiques. Le desir de l’immortalité ne peut pas etre tranqillé par une promission d’une survivance impersonel . Le desir d’immortalité est le désir du salut de notre identité personnelle y compris nos souvenirs, nos reves, nos liens affectifs, alors notre temporalité dans un état permanent de quiété.
L’aspiration á l’immortalité est une une constant de l’éspirit humain. Elle se manifeste sous les multiple visage du désir, car tout désir est un désir de l’immortalité. Il serait facile si notre ame seul, issue du ciel aspirait á l’immortalité. Mais quand la douleur, la maladie rapellent á notre corps qu’il est éphémere ou quand certaines formes du plaisir nous rend l’illusion d’ omnipotence, c’est alors quand le désir de l’immortalité devient acharné.
Le desir, la passion, et surtout l’amour est une recherche désespérée pour justifier sa propre existence. Et cette justification on l’attend de la part de l’Autrui ( homme ou Dieu, en tout cas une Exteriorité). Ce n’est que le regard et le désir de l’autrui qui donnent sens á son existence.
Le desir métaphisique c’est l’attraction vers l’existence de ceux qui sont. C’est grace á désir qu’il y a plutot quelque chose que le Rien, autant que l’aspirations vers le Rien est aussi une forme du recherche de l’immortalité.
L’Occident (le monde greco-romain et celui chrétien) et l’Orient ( le buddhisme et le hindouisme ont attitude differente devant le desir, mais dans tout les deux situation l’attitude vers le desir est le clé métaphisique du salut. Le témoignage de ces passions avec tout les souffrances d’une part le renoncemment aux desirs,l a cause du souffrance universelle, d’autre coté -voici la voie vers l’accomplissement..
Les désirs créent des mondes possibles, tout désir ouvre un possible avenir. La force de ces désires continue le cycle de la vie et de la souffrance, dans la philosophie hindoue. Dans la philosophie Occidentale, au moins chez Leibniz et Heidegger la tautologie du reél donne naissance aux regrets et meme a une sentiment du peché, la peché de perdre milles possibilité en choisissant une seule. C1est une peche lié á notre temporalité. La totalité á laquelle on aspire est l’accomplissement simultan de tout les mondes possible qui ont jamais existé, dans la conscience divine ( et non pas seulement de celle du meilleur monde possible) et le meme temps est le témoignage de toutes les existence possible, tel que Borges le voit par El Aleph ou tel que Rembrant se transpose en tout sortes des personages dans ses autoportraits.

Parlerò sull’immortalità, sulle significazioni soteriologiche del Desiderio come desiderio di immortalità. Non affrontiamo il problema ontologico dell Immortalità, sostengo che non possiamo parlarne. Analiziamo invece le varie forme e speculazioni sull Desiderio dell’Imortalità, un Desiderio che ci conduce nell nucleo dell autocomprensione umana
Prendo come punto di partenza l’idea dell’alienazione cioè l’idea che ci sentiamo in questo mondo come degli stranieri e del sentimento di angoscia esistenziale che ci assale a causa di ciò.
Grazie alle nostre cure, alle preoccupazioni quotidiane viviamo nella "Dimenticanza", dimentichiamo che siamo stranieri, che questa non è la nostra vita originaria, non è la vita per la quale siamo stati creati.
Non possiamo capire la ragione della morte e non siamo in pace per il fatto che siamo limitati.
Come se all’inizio quando ebbe origine il genere umano ci fu dato l’immortalità e l’eterna giovinezza ed esse erano nostre nella Vera Vita.
La religione e le credenzze religiose mettono questa epoca della Vera Vita in un Tempo Sacro delle Origini, in illo tempore, allora, avevamo una condizione che abbiamo perduta a causa di una nostra colpa.
La ricerca dell’immortalità, la rivolta contro la morte ed il desiderio di rivivere la situazione originaria di beatitudine è una ricerca constante dello spirito umano.
Questa ricerca può avere numerose facce.
Alcuni cercano di prolungare la vita fin tanto che è possibile. Per cui quanto grazie alla medicina moderna possiamo godere di un allungamento della vita accanto ai nostri cari consideriamo questo naturalmente un bene.
Ma prolungare all’infinito la vita non ne toglie la fragilità, e con la fragilità, quando qualsiasi evento può distruggere la nostra vita, non è possibile l’immortalità. Poi vedremo come questa fragilita sarà essenziale per conservare il valore della vita.
Alcuni arrivano ad usare le tecniche dell’ibernazione o come gli Egizi l’imbalsamazione per tentare di ottenere una temporalità infinita, ma possiamo considerare questo stare, una vita?!
Borges ha scritto una novella che si intitola l’Immortale. In questa novella un soldato romano sente dire che c’e un luogo nel mondo, nel quale c’e un ruscello che rende immortali. Stanco e spossato dalla ricerca, beve dell’acqua sporca di un ruscello e vede che non invecchia e non muore più.
Poi scopre una città che crede la città degli immortali. Ma è una città completamente assurda, con una geometria assurda, simbolo dell’assurdità di una ricerca dell’immortalità come prolungamento all’infinito della vita. Gli immortali dopo essere vissuti nella meravigliosa città di cui la leggenda parla, la distrussero, erigendo sulle sue rovine questa parodia, e ne uscirono. Loro vivono esteriormente una vita semibestiale ma è una vita di puro pensiero.
Dopo dieci secoli decidono di cercare il fiume che toglie l’immortalità. Perchè l’immortalità in questo modo non ha senso. Anzi conduce a perdere il significato di tutta la vita
Male e bene, genio e stupidità, meriti e infamie nella prospettiva di un tempo infinito si annullano a vicenda, nulla più ha valore, ogni uomo è tutti gli uomini. Tutto viene a noia.
Solo con la morte esiste qualcosa che ha un certo valore. Nulla se non la morte, la fragilita della vita rende preziosa la vita degli uomini: "ogni atto che compiono può essere l'ultimo, non c'è volto che non sia sul punto di cancellarsi come il volto di un sogno".
Questo desiderio di immortalità come un semplice prolungamento della vita non soddisfa il nostro desiderio di Vita. Perchè questa vita senza fragilità, senza l'irripetibile unicità dei momenti che non tornerano mai più, ma che danno senso e bellezza alla nostra esistenza, non è degna di essere vissuta.
La temporalità infinita ed uguale, dove non c’e piu nessun cambiamento non soddisfa il nostro desiderio verso l’Assoluto desiderio di felicità, perchè la vita immortale, la vita eterna si transforma in uno Inferno statico e improduttivo un vero simbolo della morte.
L’angoscia prima della morte sale dentro di noi quando incontriamo la morte dell’Altro, perchè l’altro è quello che da significazione a noi Stessi. Possiamo accettare piu facilmente la nostra morte che quella di qualcuno che amiamo. Non possiamo immaginare che quelli che ci sono cari un giorno vadano via per sempre e non rimanga più niente di loro.
Insomma ci sembra senza ragione che la forza che ha potuto dare vita o il senso alla nostra vita possa morire. In questo senso la morte sembra essere un paradosso logico. Potrebbe essere questa una ragione sufficiente per la credenza in un'anima personale, eterna.
Ma se soltanto la nostra anima eterna venuta dal cielo bramasse l’immortalità, come la sua casa, allora l’idea della morte sarebbe facile da sopportare. Ma quando il dolore, la malattia ci ricordano i nostri limiti o qualche piacere dei nostri sensi ci dà il sentimento di onnipotenza e poi svanisce, allora deviene piu doloroso il desiderio dell’immortalità. Così emerge il nostro corpo come quello che desidera l’immortalità. Cioè pare inaccetabile per l’economia dell’Essere che la sensibilità della materia, costruita sulla corporeità, che appare come un livello superiore di esistenza sia solamente un accidente.
E considerando la morte dei nostri cari, l’immortalità della loro anima, la loro transformazione in un angelo non riesce a consolarci. Quando quelli che amiamo muoiono ci manca il loro sguardo, il loro tocco, il loro abbraccio, il loro corporalità e non siamo più tranquilli anche se pensiamo che la loro anima è eterna. Perchè se una volta i loro sguardi, gli abbracci, i sorrisi hanno dato senso alla nostra vita questo significa che loro anima aveva una forza creatrice divina, e come possiamo considerare che questa forza creatrice divina possa scomparire ?
Un'altra speculazione sull’immortalità è la credenzza nella reincarnazzione; la credenza che alla morte ogni creatura si incarni in un altro corpo.
Nella reincarnazione credevano i celti , è una credenza che appare in diversi miti greci, e sicuramente strutturale nel buddhismo e nell’induismo.
Ma quello che resta della nostra vita nell’altra vita e tanto lontana da ciò che da senso alla nostra vita; Dopo che la nostra anima attraversa il fiume Lethe non resta niente di noi, per Homer quello che resta è soltanto un’ombra, nella religione tibetana dell’anima che attraversa i Bardi non resta piu niente di personale.
Il desiderio dell’immortalità è il desiderio di conservare quello che è significativo per la nostra vita, i propri ricordi e i propri sogni, il proprio passato ed il propro futuro.
Una immagine contemporanea e scientifica sull’Immortalità è quella del gene egoista, anche se offre la stessa mancanza di significazione per la nostra vita personale.
Il gene sarebbe “la parte immortale di ogni essere vivente” Gli uomini sono soltanto ustensili per replicare l’informazione genetica. Per questa teoria ciò che sopravvive è il gene. Se l’individuo muore non è importante.
Una altra speculazione genetica sorge dal fatto che una decisione della natura fu quella di scegliere la sessualita invece della riproduzione per divisione. Ma scegliendo ciò la natura rinunciò ad una forma di immortalità, quella dell'infinita replicazione dell'uguale "gene".
E’ tutto come nel poema del Lucifero di Eminesco dove un essere immortale vuole rinunciare al privilegio dell’immortalità per un’ora di amore con una mortale, quasi che l’amore sia un'essenza dotata di una ricchezza e di una importanza tale da rivaleggiare con l’immortalità.
Ma l’amore, il dimenticare il nostro io per una Altra persona, cosa ha di più dell’immortalità, o cosa ha in comune l’amore con il desiderio dell’ immortalità ?

Già per Platone, l’Amore ricorda all'anima la sua Immortalità. L'amore platonico è "delirio divino", trasporto dell'anima, follia e suprema ragione. L'amore è la via che sale per gradi d'estasi verso l'origine unica di tutto ciò che esiste, lontano dai corpi e dalla materia, lontano da ciò che divide e distingue, oltre l'infelicità d'esser se stessi e d'esser due nell'amore stesso. Ma l’Amore è forte a causa della sua fragilita, è ricco a causa della sua poverta, è Amore perchè è una aspirazione che viene da un essere imperfetto che si slancia verso la perfezione
Nel cristianesimo , questo Desiderio incontra il desiderio dell'Altro, il desiderio del Dio . Questo Suo Desiderio ci chiama all'esistenza.
All’inizio c’era il Desiderio. Il Desiderio ha chiamato Dio ed il Desiderio era Dio ; E' il Desiderio che ha chiamato l’Altro n ell’Esistenza e il Suo desiderio che crea lo Stesso continuamente.
Il desiderio è sempre il desiderio di uscire da Se Stesso fino all’Altro, c’e il desiderio di transcendere I propri limiti per trovare la propria giustificazione in un altro sguardo, nell'attenzione dell’Altro. Esisto davvero soltanto quando sono vista, amata e desiderata. Nell’altro caso la mia esistenza non ha nessun senso, nessuna profondità.
Perciò tutti i gran cammini verso la salvezza hanno nel loro centro i desideri e la passione, sia quelli che si basano sulla rinuncia ai desideri sia quelli vissuti nella loro pienezza. Lo vediamo seguito.
La cultura europea/Occidentale e la cultura Orientale hanno attitudini divergenti verso il desiderio. Ma in entrambi il Desiderio, Le nostre attitudini verso I nostri desideri reppresentano la chiave metafisica della salvezza.
Il mondo è una illusione, dice la religione induista, è una illusione perchè è passeggera, è temporale. Il tempo annebbia e distrugge tutto, ed al di la del divenire, al di la dell'affascinamento continuo non c’e che il Niente Eterno nel cui sogno c'è Il Mondo. Anche la nostra Identità è solo un punto di coagulo della corrente della vita che dura solo quanto una vita umana, neanche un attimo dal punto di vista dell’eternità. Il mondo non è che il sogno di Nonessere. Ma noi crediamo che è reale, anzi eterno, ci attacchiamo agli altri, ai nostri ricordi, ai nostri sogni, alla nostra temporalità, e poi soffriamo. E questo mondo illusorio si regenera a causa dei nostri desideri e delle nostre sofferenze. L’uomo a causa dell'intelletto non purificato considera il suo Sé Assoluto come l'autore delle azioni . Ma lui e solo lo strumento d'azione, è pieno d'attaccamento, pieno di desiderio per i frutti dell'azione. Dobbiamo agire abbandonando l'attacamento (ad esse) e il desiderio per i frutti delle nostre azioni, dobbiamo rinunciare a tutte le azioni fatte con desiderio o almeno ai frutti delle azioni dice BhagavadGita.
Nell’ascetismo, nella rinuncia ai desideri riconosciamo il carattere illusorio del mondo, riusciamo ad uscire dal velo di Illusione cosmica di Maya e usciamo dall’Ignoranza e siamo liberi. I desideri sono ostacoli nel nostro cammino fino alla liberta, fino all’assoluto fino al Nirvana Eterno "del Niente" la sola eternità è quella del Nonessere.
Ma al contrario L’Occidente elogia la sofferenza, il sacrificio massimo per quello che amiamo. Se non soffri per quello che ami non lo ami davvero. E come nel mito di "Amore e Psiche" Il completamento, la pienezza la realiziamo tra gli ostacoli che si frapongono nel nostro cammino fino all'Altro e perfino la conoscenza è possibile realizzarla solo come percorso iniziatico che deve prima essere capace di impregnarsi dei sentimenti "amore" e lo stesso sentimento "amore" non è possibile senza sofferenza.
Un mito che quasi si ripete anche nel simbolo cristiano della croce che è anch'esso una apologia di questo cammino nella soffrenza causata da Amore. Solo attraverso il sacrificio massimo per quelli che amiamo si può raggiungere la salvezza solo questo sacrificio può cambiare il mondo.
E questa coppia tra sofferenza e amore è per l’Occidente essenziale, ed è il cammino preferito per conoscere la vita e la Verita . Questo tipo di amore Occidentale fu criticata perchè Quello che amiamo è piu l”Amore" che L’Altro. E' una forma di Amore per l”Assoluto" non per una persona che può restare sconosciuta per noi anche accanto a noi. Ecco perchè l’amore romantico non resiste al tempo, perché amiamo piu l’essenza immortale dell'anima umana che ci appare un momento nella persona amata che la persona in se.
Eros introduce nella vita qualcosa di affatto estraneo ai ritmi dell'attrazione sessuale: un desiderio che non si estingue più, che più nulla può soddisfare, che respinge e fugge persino la tentazione di realizzarsi nel mondo, perché non vuol abbracciare che il Tutto. E' il superamento infnito, l'ascensione dell'uomo verso il suo dio. Ed è un movimento senza ritorno.
Nel momento di innamoramento l’Altro è visto comme un specchio dell’Immortalità, anche se il tempo quotidiano cambia questo sentimento.) Abbiamo bisogno dello specchio dell'Altro per capire Noi stessi e la nostra esistenza.
Il desiderio è il desiderio del desiderio dell’altro. E quando l’altro voglia la mia esistenza, quando vede se stesso in me, capisce se stesso e si riconosce in me allora io divengo un essere reale unico.
Il desiderio metafisico di esistenza è il desiderio dell'Altro, e ciò è un desiderio di immortalità.
Per questo ciascuno cerca il senso e la giustificazione dalla propria essistenza nello sguardo e nel desiderio di una Esteriorità (uomo o Dio)
Ciascun desiderio apre un futuro, un mondo possibile. La forza dei questi desideri fa continuare il ciclo della vita e della sofferenza -la Samsara dalla quale dobiamo uscire.
Nella filosofia Occidentale (a Leibniz e Heidegger sicuramente) la tautologia della realtà fa nascere il rimpiantoper le mondi posibili e anzi fa nascere il sentimento di colpa. Per Heidegger questo sentimento colpa deriva dal fatto che scegliendo una possibilità perdiamo in quel momento tutte le altre. E' un peccato collegato alla nostra temporalità e questa rivelazione conduce a l’Angoscia.
Quando cerco l’immortalità voglio il significato delle tutte le mie vite possibili tutti I mondi possibili che sono apparsi talvolta nel Pensiero Divino, e anche di tutti quei mondi dei quali resta solo il rimpianto che non esistono più. e non soltanto la migliore. Perchè la mia Verità non puo essere Unica e Uguale. La mia Verità non puo essere che globale, panoptica e diversa. Una verita debole e viva. Il desiderio ne sfrangia il profilo in un’irresolubile diffrazione, ne disperde il nocciolo in un gioco di specchi.
Davvero tutta la epoca leibniziana vive sta tensione tra essere uno o plurale. Proprio il barocco è, infatti, quello stile, quell’epoca, quell’atmosfera di pensiero e d’esperienza entro cui qualcosa come la novecentesca alterità dell’io o la contemporanea disidentificazione delle identità sono state non solo intuite, ma coerentemente perseguite e radicalmente attuate in filosofia come in musica, in architettura come in diplomazia o in amore .
L'Eros è il Desiderio totale, è l'Aspirazione luminosa, che è l'estrema esigenza di Unità. Ma l'unità ultima è negazione dell'essere attuale, nella sua sofferente molteplicità. Il desiderio è, un’istanza plurale, mobile, capace di essere ogni volta di nuovo e interamente se stessa senza necessità di rifarsi ad origini, paradigmi, archetipi la cui fondatività è in effetti tale sempre .
Il desiderio dell'immortalità è un desiderio di Assoluto, di uscire dal tempo, di vivere tutte le vite possibili nello stesso luogo e nello stesso momento come nell’immagine di El Alef della novella di Borges.
L’Aleph e […] il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli…”
Il diametro dell’Aleph sarà stato di due o tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse. Ogni cosa (il cristallo dello specchio, ad esempio) era infinite cose, perché io la vedevo distintamente da ogni punto dell’universo. Vidi il popoloso mare, vidi l’alba e la sera, vidi le moltitudini d’America, vidi un’argentea ragnatela al centro di una nera piramide, vidi un labirinto spezzato (era Londra), vidi infiniti occhi che si fissavano in me come in uno specchio, vidi tutti gli specchi del pianeta e nessuno mi rifletté…”
La pratica del desiderio e l’ esperienza del limite del pensiero e della materia; il concatenamento tra le tutte le esistenze tra tutti i mondi possibili., l'unità minima di un reale che si dà sempre nella molteplicità; la macchina desiderante, motore immanente che percorre il piano tracciato dal desiderio disegnando nuove forme di essere se stesso e un altro diverso.
C’e forse qualcosa nello sguardo e nel desiderio dell’Altro, qualcosa che ci permette di ricordarci, di ricordare il nostro stadio originario, o di ricordarci della nostra esistenza immortale al di la del tempo.
Un simile sguardo di amore è una sospensione dell’attimo, una paradossale eternità dell’attimo del quale resterà solo un ricordo ma che forse da veramente senso alla nostra vita.
L'incontro degli sguardi innamorati è un incontro mistico nel quale l’attimo si ferma. L’Amore apre cosi l’Eternità attraverso l'attimo. Nella vita di un uomo sono rari tali momenti e allora possiamo credere che abbiamo trovato una fessura nello spazio/tempo. Un tipo di immortalità è quello dell’attimo pieno e completo il picco assoluto che condensa in se , multum in parvo, tutto l’universo come spazio, tempo, come possibilità, dove la tendenza infinitesimale è speculare all’infinitamente grande, l’unicità individuale che come tale è nulla si realizza in maniera speculare come rappresentazione del cosmo. L’Aleph, il punto di sospensione dell’attimo è in noi, in noi sono cieli infiniti quelli che si aprono nell’incontro di sguardi che si amano.
L’hermeneutica del desiderio dell’immortalità ci ha allontanato dalla concezione temporale infinita della vita. Invece ci ha condotto a momenti di pienezza significanta dalla nostra vita, alla ricerca dell’attimo assoluto di vita tanto pieno da meritare di essere fermato in eterno, nel centro del problema metafisico tra le categorie di temporalità panoptica, e dei mondi possibili mostrando l’importanza dello sguardo dell’altro come principio di autocomprehensione e di più come principio di esistenza.

BIBLIOGRAFIA

1. Bhagavad Gita - Il Canto del beato Capitolo XVIII - La Liberazione attraverso La Rinuncia
2. J.L. BORGES- vol Aleph (1949), Obras completas, Maria Kodama y Emecé Editores, S.A., 1989
3. Mircea ELIADE - Le Yoga- Immortalité et Liberté, 1954 Payot, Paris ,
4. Julius EVOLA- Metafisica del Sesso, 1958, Ed Mediterranee, In rom Ed. Humanitas, 1994
5. Mario GALZIGNA (a cura di), Volti dell'identità. Le scienze psichiche, l'altro, lo straniero, Marsilio, Venezia 2001
6. Martin HEIDEGGER-Sein und Zeit
7. G.W. LEIBNIZ, - Opere filosofiche(fragm. 1686), in rom. Disertaţie metafisică, Ed Humanitas, CEU Press 1996
8. Emanuel LEVINAS-Totalite et l’Infini.Essai sur L’Exteriorité - La Haye, Martinus Nijhoff, 1961, Kluwer Academic Publishers B.V., 1965
9. José ORTEGA y GASSET- Estudios Sobre El Amor, Allianza Editorial, 1991
10. Thomas PAVEL- Povestiri Filosofice, Ed. Univers, Bucuresti,1998
11. Denis de ROUGEMONT – L’Amour et l’Occident. Union Générale d'Editions, 1939
12. Henrich ZIMMER-The Kings and the corpse, Tales of the soul’s conquest of evil, Princeton University Press, Ninth Printing, 1989
13. Henrich ZIMMER- Myths and Symbols in Indian Art and Civilization, Ed by Joseph Campbell, Bollingen Series VI, Princeton University Press, 1946



venerdì 31 maggio 2013

mogli e concubine

Sto leggendo il romanzo cinese con questo nome. Mi da l'impressione che siamo cosi dipendenti dell'amore di un uomo, qui sono le mogli e concubine di un uomo che non fanno altro che aspettarlo, come se solo lui desse senso alla vita di una donna.

martedì 21 maggio 2013

The hermenetic of Evil in The Age of Dante


Questa èrelazione è stata presentat a Amsterdam, a Vrije Universitet il 2005 marzo alla Conferenza sul Evil in religion


THE HERMENEUTIC OF EVIL IN THE AGE OF DANTE
Lucia Teszler
tengere2000@yahoo.com

I will follow the conflict of interpetation around the problem of the Evil and God in 12th century accross Divine Comedy of Dante, especially accros the inscription on the gate of the Hell.
At the end of XII th century the cathars and other gnostic-dualistic contemporary movement make in crisis the church that must to take a clear position about Evil.
The gnostical dualism explains the origin of evil with the existence of two principles, a Good God of the Light and a Evil God of the Darkness The least create the world and for that the world is impure. Against this theory the catholic church reaffirmed the existence of a One God, sustained the wellness of the world, and explained the Evil with human wickedness. For controled the heresy the latheran council impose the obligation of all faithful to make a yearly confessions. But trough this decision he gave in the hand of every faithful the way for their salvation, that became individually, and the sins too.
The other two solutions of the problem of Evil are represented by Saint Francesco and by Saint Thomas of Aquinas whose theory became fondamental (theoreticaly) for the church. They both sustaine the wellness of all creation, of all human and natural desire and the individual capacity of decision.

Why Dante and why the Middle Age
When I saw for the first time a roman church I was surprised by the monsters, animals and other very plastic figures that orned the curch. What do the monstrer in the church ? What is this dangerous, inhuman element in religious experience? Now I know their monstrousity not represent the fear from the strangers , but a fear from the inner world perils, the dangers that our soul could meets in this or in the other world, in his way to salvation. After I discover one of the greatest book of medieval culture - the Divine Comedy which is full of monsters, of suffering, of philosophy, of legends - a really surprise for a twenthy centuries person who believed that his age ‘s imagination is the maximum of horror.

Unde malum
How represent this poem the Evil: the Hell, Satan, the suffering and how is theirs relations with God, with God intentions? For understand this, we stop a little before the gate of the Hell and read:
Justice urged on my high artificer;
My maker was divine authority
The highest wisdom, and the primal love
Before me nothing but eternal things
Were made, and I endure eternally
(Inf. 3.001-009)

Divine Comedy
In Divine Comedy Dante describes a journey through the three realms of death. Lost in the dark forest he meet the ancient roman poet Virgilius who will be his guide. They descend in the Hell, they go up on the Purgatory mountain, just in the earthly Paradise. With Beatrice Dante continue the ascension in the skies of heaven until in the Divine Empire where he had a vision of Trinity.

The role of souffering
All levels of the Otherworld of Dante are structured by moral point of wiew. Dante looks in the Hell the pains of the damned souls souffering in different more and more cruel manner – they turn into a snake, go around with their head in the hand, they become the blooding trees, without any hope that theirs sufferings will end. This is the dark part of the world where are not more the Grace of God - this is the Hell, where the only sign of his presence is the hierarchy of the monsters and the order of the sins.
On the Purgatory he met another souls who purg one of the seven deadly sins. The avars stay with face laydown on earth, the sloths run. Their pains are more reasonable, they don’t lose their dignity. Just because this is the only place where there is time like in human life, stars- signs of presence of God that calls our hope.
We can distinguee between the human suffering in the purgatory and the monstruosity of the pains in the Hell. For faithfull remain to choice between the two type of suffering, the human or the demoniac one.
The body or is a prison of the soul, is an instrument of evil –for cathars, his role is to suffering. For orthodoxy, the cause of evil on the world is our originary sin. Our suffering is a consequences of the greatness of God who punished us. The disease of the body may be the sign of the sin. Therefore the Fourth Latheran Council declare that is not permit to the doctor to cure the sick without the permission of the church, the flagelants marching in procession and scourging themselves for their sins and for the sins of the world because the suffering is the way of the purification of the spirit and is a source of life and salvation.

Lucifer and other demons
At the deep bottom of the Hell, in the center of Earth Dante and Virgilius met Satan, so, in the deep of the created world roole the spirit of the Evil. But He is inert, without desire and without will- like a dead that, like a nonexistence. The mouvement of his his three enorms wings send forth freezing, iced, immobilize. He is the origin of every sorow (Inf, XXXIV,37). Dante combine the ortodox theory of evil like nonexistence with the dualist gnose mithology.
Some of cathars believe in a malefic trinity. Also in Dante the Satan has tree head(XXXIV, 39), like a anthitesis of a Trinity too, he is immobile, but “every sorow has its source in him” (Inf XXXIV,37). And before meet Lucifer they met the three Giants that were power , revolted against the God. There is intelligent, arrogant, pride, the efective evil in act(Inf XXXIII 55-57).
But in Divine Commedy Evil has no pover only because God permit it- like in moderated catharism with only difference that for him the hell is this and not the other life. The personal of hell know that they are the instruments of a God will is subordinated of the Heaven’s authority Dante can passed everywhere, with Virgilius, when he refers that it is in the Heaven where is decided that he can passed. Cause the Justice of God rule in the Hell too.

The statute of created world
I want to underline that, if today the problem of Evil in religion is related with the fear from the Different in the Age of Dante the crucial aspect of the problem of Evil was the ontologycal statute of created world. All great religion accord to accept that man is fallen, he not live his really life but he shuted from paradise in a strange world, a valley of tears, a place of sufference. In every monotheism became a problem the place of Evil, of sufference, of originary falls in God’s intentions.
Or must to presupose two fundamental principles – a good and an evil one - like in dualism- we must to integrated the place of Evil in the Unique God representation - like try to make the catolic ortodoxy.

The Dualistic Gnose
The problem generaly is that we can’t make peace between the existence of a Good God- like primal Love, the Summum Bonum and the existence of suffering, of the evil.
If we accept that in god everything is pure, luminous, good, perfect- how make a dualistic gnose- we must to presupose that there are too a different Principle, who create the Evil and rule in the world.
At the beginning was not an only God, supreme, good, perfect entity, but there are two fundamental principles of the world: one, God of the Good or the Light, the other God of the Evil or the Darknesses, in eternal fight between them. The spirit of darkness created our body, while the spirit of the light is the origin of our soul. We must fight against all that is body- matter, desire, pleasure, and dying of our body the soul will be saved and return to its Divine, Pure, Luminous Original Place.
The more important dualism in the century of Dante in South of France and North of Italy was the catharism.
The radical catharism presupose that the Evil principles is uncreated, coeternal with God. The moderate catharism considers that Evil conduct this world but he serves God’s intentions. The really God was Good, but the Arteficer of this world, the Satan, the fallen Angel accros a trick create this world and emprisoned our souls in earthly bodies. In his falling he cause the shut of numberous stars and angels
A latent dualism have ever existed in the popular level, a common dualism who give to the ruler (Saints, kings, bishops) the capacity to win the Evil and to assure the colective salvation of the people, to be the symbol of a Good that must to protect us to Evil, to fight with it.
One representation of this fight is symbolized with the play of light and darkness- present as in the gothic cathedral as in Divine Commedy. In the Hell is fog or absolutely darkness. In the Purgatory , there are the stars, the constelation, and there is the hope. But only in the light of a day is possibly the mouvement, cause only the Grace permits the salvation. There is the light in Purgatory, but the penitent couldn’t look it. In Paradise the light became more and more power. Dante’s view must to change for can seeing since he at the end of his ascension wiew the Highest Light, the Trinity. In gnose Light is good, Darkness is the evil but in the Commedy there are not only Light and Darkness but also numberous intermediary position- fog, light of stars, the different graduation of light in heaven- forever sign of presence or absence of Grace of God.
The aim of the existence is the final triumph of good over evil realized in or out of the history. The waiting for the Last Judgements, is a returning theme in romanic-gothic culture. For Dante the role of emperor to save and restaurate the world from because the church was traited the original teaching. In this he is according with moderate cathars. The end of time is not far . And after this end as the joy in Paradise as the sufference in Hell will be perfectionated.

The Fourth Lateran Council about Evil .1215
The ortodox position tries to protect the wellness of created world. Just for that is important to affirm, in 1215 at Fourth Latheran Council, after the first victory in the massacre of cathars (1208-1244) that all the creation is good. Only the man is wrong, because is prompting of the devil, to decrete that, the devil and other demons were created by God naturally good, but they became evil by their own doing. The nature of creation is good. This council imposed the obligation of a yearly confession of sins for all the faithfull.

The ortodox tradition considers that there is a unique God, the creator and the Evil is an absence of good is a non-existence. God made all things good. Evil was either the absence or perversion of the good that exists.
Human wickedness is the only thing that is called evil. Since Adam chose sin in the Garden of Eden, mankind is born with a corrupt and sinful nature, which renders him unable to desire righteousness. The salvation depends only of the Grace of God.
San Francesco and San Tomasso will reform from this tradition inside of church.
Saint Francis from Assisi, sustained more purely than other the wellness of the created world. The nature is not a danger, a dark, heavy part of the world. It’s really that the originary sin introduced the Evil in the world and changed the nature of the things but Jesus wash the sins of the world and repurified the nature.
His dialogue with the Woolf is significant especially cause in Middle Age the wolf was a really personification of the Evil. But when Saint Francesco ask to the Brother Wolf , why is he cruel and wick, the wolf explain that, he make wrong between humans animals only cause of his hungry, only cause of his lack. Because any creature is not naturally wrong. After this peace of Gubbio, the wolf became good and peaceful.
Even if Dante admire very San Francesco he return of a more ancient image of justitiary God.

Divine Wrath and Love
Returning to the portal of the Hell I want to observe that the Hell exist before the Creation and will exist after the end of the world, after the Last Judgemnet, is eternal. Why exists the Hell before the fall of Satan?!
The Hell was created by God the Justice and by Primal Love when any other thing not was yet created? Or exist eternally?. But what is the signification of eternity of this place? It isn’t just the eternity of evil?
Why prepared the Eternal love before creation, before any shut. In cathar cosmogony too the Hell was before the fallen of Satan whose fall cause the fall of noumberous angels.
It is possible that God created the fire in the centre of the earth since any moral end. But the Justice created it, and the love. No, Dante is not dualist. For him is the Unique God who create this place of sufference, God whose authorithy is present here like wrath judge.
One of more important traits of God is his Justice, and his Authorithy. Grace of his Divine Authority God is God. We must understand an esential element of God’s representation in this age: the”Divine Authorithy” underline the justitiary, trmendous part of God, and this part is his infernal face- the great judge before who nothing remain unavenged, the tremendous King how wrote Thomasso Celano in Dies Ire in the same age. This authorithy it must to be recognized for salvation cause only his grace could save. Dante suffer some time when meet his master or Paolo e Francesca, or Ulise in the Hell, but he sustaine the hollyness of the Authorithy and of Justice made by this. Here Dante is very medieval, he believe in yhe holliness of real pover, so on authorithy.
But God is the primal Love too. The Divine Love shine on everybody, any creature is whithout love (Purg 17,91-93). Any originary sin only an originary love caracterize a human being. And by following this natural love (Purg 17, 94), we could lead to our aim –to transform us from worms and born to form the angelic butterfly that soars, without defenses, to confront His judgment?” (Purg 10, 124-125)
But we must to turn, whit our mind and our free will this love in the just direction toward the First Good. (Purg. 17,99-101) and with a measure toward the earthly goods. If we don’t use correctly this love, by example lovig more the earthly things or loing other thing s that we can we make a sin. In our free will and in our intelectual decision could be the sins
I want to underline that as in Paradise, as in Purgatory as in Infern there are persons who lived for love, or for desire for excellency and we can say that for all the passion. But Paolo e Francesca, in their adultery love forgets the grace of God, and for that they must to fly on the wing of the strom for all eternity. The same passion for love we meet in Purgatory and in Paradise in the Venus sphere. Here are those who did well out of love. Cause not in our passions is the evil but in the unmeasured or wrong oriented passion.
We can understand that just the good or the bad economy of the same feeling or thinking send us or in Heaven, or in Hell, or in Purgatory because is our free will to decide on the desires (Purg 17, 60-66).


Conclusion
I showed that the center of the problem of evil in the age of Dante was the role of the created world, the matter, the body in the economy of the Holly. The different interpretation play around the absolutely wellness or absolutely madness of creation. The Divine Comedy reflect this conflict of interpretation . I showed the various representations of evil in Dante’s poem and theirs relation with God: the structure of Hell, the souffering, Lucifer, related the inscription on the portal of the Hell who show the role of the Hell in Divine intentions. We could say that the Divine Comedy is played for us by God. He show his diabolic face in the Hell, his human face in Purgatory and his divine face in Paradise - and behind this aparent he remain the same unique God- creator, punisher, wise and Primal love, who shining on everybody.




Bibliography

DANTE Alighieri, Divina Commedia (1308-1321), for english quote I used, Dante Alighieri ,The Divine Comedy.,
http://dante.ilt.columbia.edu/new/comedy/index.html ,Dante and Mandelbaum Tr.
The text of the Fourth LATERAN COUNCIL from http://www.piar.hu/councils/ecum12.htm
La cena segreta. Trattati e rituali catari (cura Francesco Zambon), Ed.Adelphi, Milano , 1997
TOMMASSO d’Aquino- De malum

CASAGRANDE, Carla e Veccio , Silvana- I sette vizi capitali. Satoria dei peccati nel Medioevo, Ed. Einaudi, Torino, 2000
COULIANO, Ioan P. The tree of gnosis. Gnostic mythology from early christianity to modern nihilism, Harper Collins San Francisco, 1992
DELUMEAU, Jean Le péché et la peur. La culpabilisation en Occident (XIIIème -XVIIIème siecles)Librairie Arhtème Fayard, 1983
DUBY, Georges Le temps des cathédrales. L’art et la societé. L’art et societé. 980-1420, Gallimard, 1976
ECO, Umberto Arte e bellezza nell’estetica medievale, R.C.S.Libri &Grandi Opere Sp.A. Milano, I ed. Bompiani, 1987
KATZENELLENBOGEN , Adolf - Allegories of the virtues and vices in Medieval art. From Early Cristian Times to the Thirteenth Century (1at ed. 1939, Warburg Institute, London as 10th vol. in Studies of the Warburg Institute, translated by Alan J.P.Crick) Ed. University of Toronto Press and Medieval Academy of America, 1989
M. KILANI, L'invention de l'autre, Payot, Lausanne, 1994
MONOD, Paul Kliber The Power of Kings: Monarchy and Religion in Europe, Yale University Press, 1999,
ORTALLI, Gherardo Lupi genti e culture, Uomo e ambiente nel Medioevo. Einaudi, 1997
SEGRE, Cesare –Fuori del mondo: i modelli nella follia e nelle immagini dell’aldila, Einaudi, 1990
SCHMIDT, Jean Claude- Les revenants. Les vivants et les morts dans la societe medievale, Editions Gallimard, 1994


Copywright @Teszler Lucia
Le citazioni si possono fare citando il link di origine.


martedì 14 maggio 2013

Io sono davero perché gli uomini e le donne si amino, si rispettino, e voglio che tutti sopportiamo almeno gli uni gli altri.

venerdì 22 marzo 2013

Abraxas


Io e Buddha

Buddha è stato un principe Sakyamuni di Benares. Il suo padre ha deciso che deve essere felice e non vedere la parte d'ombra del mondo. Cosi Buddha arrivò a 29 anni che non ha mai visto in vita sua morte, malattia e povertà.
Poi quando li ha visto è rimasto cosi impressionato che si è seduto sotto il suo albero e ha aspettato fino a quando si è luminato e ha decisso ceh tutta la vita è sofferenza e la gioia è solo illusione.

Eco io non sono stat una principessa. Avevo 8 anni qunado una mattina mi sono alzata e ho visto il vilaggio davanti a noi coperto dall'acqua. Il tetto di una casa appena si vedeva fuori. La piena è arrivata di notte. Alcune persone stavano là sulla nostra collina con alcune cose che sono riusciti a salvare dalle loro case.
Attoprno a 11 anni ho sofferto da una brutta malattia peer cui sono stata spesso disprezzata e mi sentivo insicura e sono stata sotto medicazione per 4-5 anni. A 1 3 anni volevo essere bella come era una collega di scuola. Durante l'estate poi lei, 13 enne pure lei è stata riscucchiata dal canalle di scolo di una piscina ed è morta. Due amici, compagni della mia infanzia sono morti a 16 anni. Una improvisamente dopo che ha studiato troppo, l'ìaltro si è gonfiato molto, aveva un cancro ai organi sessuali e probabilmente faceva trattamento chemioterapeutico, ma non è sopravissuto.
Avevo quasi 18 anni quando è arrivata la Rivoluzione.I ragazzi che avevano finito la scuola un anno prima di noi erano militari. Poi c'erano le loro foto inquadrate in nero sui pareti all'entrata in scuola. Sono morti nella Rivoluzione di Timisoara.

Eco, io ho avuto altra vita che Buddha, nessuno mi h nascosto la sofferenza, la morte e la malattia, anceh perché era impossibile di nasconderlo, e amo la vita e mi piacerebbe vivere e credere nella bellezza dell'esistere, anceh se solo per un breve tempo.

Ed eco perché amo anche quella superficialità della gente commune, le frivoleze, le preoccupazioni per le cose superflue ma carine. Perché "Solo chi ha visto l aprofondità della vita riesce aprezzare le cose superficiali" (Nietzsche- Al di là del bene e del male

mercoledì 20 marzo 2013

Il paradosso amoroso-Pascal Bruckner

Un'analisi molto interessante delle ambiguità e paradossi nati con la liberazione sessuale (specialmente sessantottina)
E assurdo costruire una società sull’amore libero e in genere sull’amore. Molte delle epoche passate sapevano che l’amore è una pazzia che viene e va, che per mantenerla c’è bisogno di trasformarlo in una amicizia, rispetto, progetti communi, meno ecitanti ma pià durevoli e più controllabili.
Pascal Bruckner , filosofo e romanziere francese si occupa nelle sue opere dei paradossi creati nella nostra cultura dalla liberazione sessuale.
In questo senso ha scritto il saggio Sul nuovo disordine amoroso, il romanzo Luna di fiele, dall quale Roman Polanski ha fato un film.
Adesso è uscito in traduzione il suo libro Il paradosso amoroso.
Una società fondata sull’ideale dell’amore libero o sull’ideale dell’amore per il prossimo presenta lo stesso pericolo di essere totalitaria come una società fondata sul egoismo o perfino sull’odio.
Il movimento sessantottista presentava l’amore libero quasi come fosse un mezzo di salvezza, di redenzione, per accorgersi qualche decina d’anni dopo che questo è un ideale insostenibile, che perché propone una ricerca continua di stimoli, di piaceri di novità eccitanti che sfociano proprio nell’opposto del ciò che si cerca in amore, in una infedeltà come principio di vita, che non rende felice né chi viene lasciato né chi è in ricerca spasmodica del nuovo innamoramento. Invano provano incitare il sentimento di fascino erotico con la pornografia, perversioni, oltrepassando tutti i divieti sessuali, perché oggi tutto è ammesso, ma ci si rende conto che non porta alla felicità Perché la generazione della liberazione sessuale ha dimenticato che l’amore è sempre un burlone che non conosce leggi, è impossibile fondare una società su di lei. Cosi si spiega che le grandi promesse e fascino iniziale si trasforma in vendette e sofferenze difficili da integrare.
In nome della libertà d’amore si arriva alle situazioni paradossali quale impone sull’amore stesso divieti mai conosciuti in una società precendente, colpevilizzando quasi tutte le manifestazioni della passione e qualsiaisi insistenza amorosa o passionale, o perfino il doppio senso scherzoso come molestia sessuale, imponendo in modo assurdo un modo di “slancio sessualmente corretto” o un “regolamento dell’atto intimo”.
Nemmeno al livello sociale, le culture cristiane, o communiste costruite sul amore e compassione non hanno portato a nulla di buono, solo al terrorismo nel nome del’amore per il prossimo.

“il sentimento amoroso ci rende contemporanei con epoche lontane
“Dire a una persona Ti amo, equivale a dirle “Non morirai mai” (Gabriel Marcel)
@Lucia Teszler, 9-10-2012

giovedì 28 febbraio 2013

L'Occidente e L'Inquisizione

Ho appena finito di vedere il film di Milos Forman su Goya el'Inquisizione spagnola.
E terribile l'Ombra dell?inquisizione in Occidente, ci sono tanti romanzi che la raccontano.
Rappresenta l'anima contorsionata dell'Occidente. Difficile credere come ha potuto sopportarlo per cosi lungo tempo

mercoledì 27 febbraio 2013

Dio

Vorrei tanto che esistesse un Buon Dio che dia senso a tutte le nostre sofferenze a tutti i nostri sogni.

La sofferenza

la sofferenza fa guarire le ferite.

lunedì 18 febbraio 2013

La regola dei complementari

Siamo cosi come ci rispechiamo in chi ci è complementare per la natura. Già nella mia tesi di laurea su Michel Foucault ho parlato del fatto che gli esclusi della società rappresentano la propria parte d'ombra, infatti rappersentano noi stessi, come siamo e come non vogliamo riconoscre di essere.
Diventi ciò che odi. Questa lo dice anche il Bardo Todol, quando un essere vede una copia che fa l'amore se sente odio per il padre diventa maschio, se sente odio per la madre diventa femmina.

sabato 16 febbraio 2013

Mòr Jokai, LACUL SÂNZIENELOR (1854)


traducere @ dr.Lucia Teszler



Există undeva  în ținutul secuiesc  o vale liniștită, care nu a fost în veci  locuită de suflet omenesc, unde nimic nu rupe liniștea nopților instelate, poate, doar  strigătul vreunei păsări de noapte, sau poate doar  susurul  fără preget al veșnicelor vii ape.
Topor nu a sfășiat vreodată acești imenși copaci, vânător nu a gonit vreodată sălbăticiunile care, sălășluiesc pe aceste meleaguri. Din neguri immemorabile ale vremurilor, sacră a fost această vale în ochii oricărei creaturi.
Din timpuri neștiute, bătrânii  copaci seculari ajunși la capătul sorții lor se prăbușeau unul pe altul, cu timpul putrezeau, deveneau pulbere, iar din resturile lor creștea un alt copac, care,  se înălța la rândul său, creștea  până la cerul plin de stele strălucitoare,  creștea pentru sute si sute de ani, până când, mâncat și el de vreme și consumat de viermi se prăbușea colea, fără ca nimeni să țină seama. Trunchiurile arborilor putreziți acoperiseră complet vadul unde, pârâiașul de munte aleargă vesel și zgomotos și acum când, rămășițele  arborilor au fost năpădite de mușchi și flori de pădure; pare că pârâul pe ici colo se ascunde, dispare sub pământ pentru ca un pic mai la vale  să iasă din nou la lumină.
Sus, pe culmile unui munte rotund, se află un loc vrăjit: tărâm deschis, podiș alpestru  presărat de o iarbă înaltă, roșie-maronie, crescută în jurul mușchiului verde;  pe acestă iarbă s-au cățărat lianele albe  cu palide floricele ale unor plante cum nu cresc in alta parte în lume.
Dacă, dorind poate să culeagă una din aceste  flori deosebite,  careva pășește pe acestă iarbă, simte imediat cum pământul i se afundă  sub picioare, de parcă nici nu  pământ ar fi,  ci doar un gros covor care plutește pe ape.  Dacă, nefericitul insistă să-și continue strada  pe acest câmp amăgitor, intr-o clipită i se  deschide iarba sub picioare; și atunci degeaba va strigă, poate și să ceară ajutor în numele lui Dumnezeu- cu atât mai rău pentru el; cu cât mai mult strigă, cu cât mai mult se roagă cu atât mai tare e  tras in adâncuri.  Amăgitorul câmp a devenit o rețea de rădăcini, mușchi, liane și  s-a transformat pe neașteptate intr-o capcană pentru mâinile si picioarele care se agită, zbătându-se pentru a scăpa; rădăcinile verzi, lianele se încleștează în jurul  picioarelor nefericitului  și îl târăsc fără îndurare către adâncuri, sub apele fără fund. Nici macar vreun bulbuc de aer nu se mai întoarce in urma lui.
Pe acesta amplă pajiște periculoasă se pot zări numeroase lăculețe mai mici sau mai mari, unele abia  mai mari decât o cadă; și dacă, cineva masoară acest câmp verde-maroniu ,de pe creasta muntelui vecin,  are  impresia  că îl privesc  și îl ademenesc ,  zeci si sute de ochi albaștri, strălucitori.
Însă e mult mai sănătos să le privim doar de departe.

Dincolo de păduri si creste, in fundul unei văi adânci, imprejmuită de o coroană de munți se odihnește  lacul Sfânta Ana, un ochi de mare profund și linștit. Jur împrejur  veghează fără preget, întunecoasă și solemnă, pădurea de brad.
               Este atâta de liniștit,  atât de tăcut totul jur împrejur, ca și cum ne-am afla în ziua de dupa Facere,  de parcă acest tărâm abia de acum s-ar fi ivit din ape. Deși, vai câte si mai câte  lucruri s-au petrecut pe aici!
               Cititorul neatent  ar putea crede că vorbim de lucruri care,  s-au întamplat ieri, alaltăieri!  Însă, e o întamplare a carei amintire se pierde în negura timpurilor.
             Pe vremurile când acest lac, ca și cel de mai sus, acela care acum e năpădit de iarbă, era  împărăția micuțelor zâne ale apelor,  regele verzui al apelor, cu barba lungă  până la genunchi să-i ajungă, vâslea, pe o șalupă de papură, până la mal, însoțit de fiicele sale. Micuțele zâne cu păr auriu cât e ziua de lungă și până-n amurg  se jucau în soare: își făceau leagăn din frunze; se ascundeau in corolele clopoțeilor de munte, de acolo își scoteau căpușorul să privească lumea; foloseau corolele lăcrimioarelor drept păhărel ca să bea nectar de rouă; se măsurau cu  greierii si cu alte goange arțăgoase; zburau in șaua  fluturelui cu ochi de păun; se râdeau de paianjenul  cel urât și cu brațele lor puternice reușeau chiar și  să rupă firele de păinajen ce reflectau lumina în toate culorile curcubeului; din aceste fire apoi  zânele își țeseau văluri care,  se potriveau de minune pe siluetele lor.
În tot acest timp împăratul apelor deja bătrân de vreme se retrăgea în scorbura copacului, și moțăia el acolo, nu supăra pe nimeni;  barba i se umplea de ciuperci, părul de mușchi verzi, măinile sale erau gălbejite si păreau scoarța copacilor.
               Fiicele sal , frumoasele sânziene erau insă cu totul diferite.  Neaua nu putea fi atât de albă ca  trupurile lor, cerul senin nu putea fi atât de albastru ca ochii lor, iar părul lor bălai părea a fi din aur. Își pieptănau frumos buclele cu pieptene făcute din scoici,  împleteau coronițe din flori de nu-mă-uita sau chiar și din flori de crini, cântau atât de fermecător că pădurea ,  iarba se oprea să le asculte,  tăceau si păsărelele ciripitoare ca să le asculte si să le învețe cântul.
Se întâmplă insă odată ca niște oameni să descopere acest loc. Îndrăgiră imediat frumusețea, liniștea, solitudinea care domnea pe acest plai. “Va fi un loc bun pentru lauda Domnului Dumnezeu!”, ziseră și se hotărâră să ridice acolo o capelă în cinstea sfintei Ana. O înălțară în adâncul văii, pe malul ochiului de mare, o sfințiră cu mare fast. În turn instalară un clopot cu voce limpede; și de atunci încolo, an după an lumea venea în ținutul secuiesc, în pelerinaj, la încântătoarea capellă de pe lacul Sfânta Ana.  Păcătoșii și bolnavii stăteau săptămăni în șir să se roage in prispa capelei .  Aici, departe de orice locuire lumească, găseau alinare, liniștea sufletească și  tăria ca să poată să se  întoarcă în lume cu sufletul plin  si reînoit.
               Bătrânul stareț al bisericii bătea clopotele de trei ori pe zi.  Pelerinului, rătăcit și obosit de drum, dangătul clopotelor,  răsunând în străvechiul codru,  putea să-i pară un cântec ceresc, o chemare divină.
În schimb nu plăceau deloc aceste dangăte verdelui împărat al apelor; zânele nu suportă sunetele de clopot; se ascund de ele fiecare unde poate; ondinele nu mai aveau deloc curajul să urce la malul lacului Sfânta Ana, nu mai puteau ieși la lumină să-și incălzească   diafanele trupuri la soare, nu mai puteau să-și pieptene părul bălai in razele soarelui.  Psalmodierile si dangătul clopotelor le alungaseră. Toate s-au retras  in iazul superior care, in subteran,   este legat   cu lacul din vale.
Ca să nu mai audă dangătul teribil al clopotelor, micuțele fantasme s-au pus să țeasă din rădăcini acvatice,  din liane, o pânză  care să acopere suprafața apei. Țeseau fără preget. An dupa an, țesutul devenea tot mai gros și mai gros, îl năpădi mușchiul de apă și crescu iarba pe el, acum semăna leit cu o cămpie, doar că rădăcinile plantelor ajungeau în apă.
Harnicele zâne  lăsară doar câte o   ferestra  in ingeniosul țesut, o fereastră mare si rotundă pentru ca soarele  să pătrundă în adâncul  iazului, și pentru ca zânele să poată urca la suprafața să contemple ce se mai intamplă  prin lume. Aceste ochiuri de mare nu au fost niciodata năpădite de iarba.
Însă sunetul clopotelor  tot  le ajungea din urmă; regele apelor isi smulgea barba de supărare; frumoasele  zâne plângeau sărăcuțele de necaz cât e noaptea de lungă.  Păstorii nu mai aveau curajul să-și mâne încolo  animalele la păscut că se temeau de ciudatele sunetele tânguitoare.
Se întâmplă pe atunci  ca o gazdă care avea o  mare cireadă de vite să angajeze un păstor. Cu toate că il avertizase o mie de ori ca  nu cumva sa poarte turma spre coacăziș, el, că era mai șmecher,  le purta tocmai intr-acolo. Când se lăsă seara, băiatul aprinse un foc si se culcă alături.
Abia ațipi că fu trezit de un tânguit care părea a fi mugetul unui  taur. Sunetul provenea din coacăziș; se gândi că o fi vreun taur alungat sau rătăcit dintr-o altă turmă care ar putea ataca prin surprindere vitele sale;  înșfăcă  bâta de pastor și porni în direcția sunetului.
Nu găsi insă nici urmă de taur,  reuși doar să se impotmolească  până la genunchi in ceva mâl din care abia putu să iasă și să ajungă ud leoarca pe uscat.  Mugetul de taur provenea de la vreo pasăre de apă,  acum se auzea tot mai departe, încercând să-l ispitească pe flăcău ca să-l urmeze. Dar el  nu o urmă ci se întoarse la foc și cum că luase o sperietură  înjura de mama focului.
Când însă dă să-și găsească șuba  lăsată alături de foc, atunci își dă seama  că o arătare ciudată se învelise in mantaua lui.  Părea un pitic bătrân de vremuri, cu barba mucegăită de-i ajungea până la pământ, îmbrăcat în verde, cu capul plin de mușchi de apă. Își incălzea mâinile gălbejite si scorțuroase  la foc.
Flăcăul  auzise acasă multe  despre zâne si alte arătări, așa că  tare se mai  bucură că îi fu dat să întâlnească una: îl și  intrebă îndată dacă, i-a adus ceva bun ?
- Un sac plin de aur, un sac plin de argint,  zise craiul apelor  storcându-și apa din barbă.
- Ce vrei în schimb?- întrebă păstorul
- Adu-mi clopotul din capela Sfânta Ana si zvărle-o in iaz taman acolo unde bradul cel înalt si roșu iese din coacăziș. Pe ramurile celui brad sunt agățate un sac de aur si unul de argint. Le poate lua doar cel  pe care îl conduc eu pâna acolo.
Băiatul se lumina mult la auzul acestor vorbe: bătu palma  cu apariția. Mâna i se umezi de parcă ar fi strâns o ciuperca udă leoarcă.  Promise ca îi va aduce clopotul.
Craiul apelor se intoarse agale la lac.  Picioarele îi flescăiau la fiecare pas, de parcă umbla in baltă sau in noroi; mai apoi, la lumina zilei i se distingeau bine  urmele pentru că, unde pașii săi calcară,  iarba ingalbenise
Seara următoare se dezlănțui o furtună năpraznică, ploua cu găleata, tuna și fulgera; păstorul nostru porni să aducă clopotul. Fulgere-i  cădeau înaintea și în urma lui, săgețile șuierătoare ale Domnlui loviră până și în lac dar nimic nu-l poticnea din drum pe sacrileg. Clopotul chiar zăngâni de trei ori în timp ce, hoțul o urni de la loc; și cu toate că, altădată  era atât de ușor, că până și un copil il putea purta, acum devenise atat de greu că păstorul mai că își rupse spinarea până reuși să-l aducă până la coacăziș. Smeritul pustnic dormea somnul celui drept, nu își dădu seama de nimic ce se întâmpla in jurul său.
Bătrânul împărat  îl aștepta deja pe păstor la malul lacului. Ce bucurie ucigașă îl cuprinse decum văzu clopotul! Smulse dintr-o mișcare  limba clopotului și porni cu ea  înainte, triumfător, purtându-o ca pe un sceptru regal. Păstorul pășea in urmele lui prin stufăriș. Terenul unduia sub pasii săi.
 “Nu-ți fie teamă” zise creatura “Ajungem acuși la brad”
Până atunci se domoli și furtuna. Când ajunseră la  bradul cel înalt ale cărui rădăcini se găseau sub fundul apelor, luna ieși  dintre nori.  Păstorul zvârli clopotul in iaz, acesta se scufundă cu mare zăngănit  in ape. 
Ondinul  scoase de pe crengile bradului doi saci, unul plin de aur, altul  plin de argint; păstorul le petrecu în jurul gâtului pe o rangă,  unul  în dreapta, altul în stânga și intrebă cum să se intoarcă acasă?
Aratărea zise:
“Unde, prin iarbă, zărești  acest soi de floare galbenă  acolo pășește fără teamă;  planta asta are rădăcina tare ca sârma, ține bine strâns covorul de ierburi ce acoperă lacul, nu îl lasa sa se rupă sub greutatea omului.
Păstorul avu  grijă, păși cu multă atenție și ajunse la mal; dar cei doi saci îi apăsau umerii atât de mult,  că in cele din urmă  se prăbuși sub greutatea lor; in acea clipită, abia reusi să se dezmeticească, că fu transformat în taur.
Se miră a doua zi gazda cum că în cireada lui apăruse un taur  negru, pe care nu-l văzuse niciodată.  Singurele indicii care ii dădeau de ințeles de unde putea să apară   miraculosul  animal era că  desaga  păstorului dispărut era încă legată în jurul brâului taurului, iară pe cele doua coarne ale taurului în dreapta și în stânga îi atârnau doi sacii, unul plin de aur și altul de argint.  Bestia se tânguia  și plângea de parcă ar fi fost o ființă umană.
Smeritul secui nu înțelegea nicicum miracolul ce avuse loc, dar când auzi că în noaptea aceea fu furat clopotul bisericuței se grăbi sa ofere aurul si argintul adus de taur pentru a cumpăra un nou clopot. Clopotul cel nou era mai mare și mai frumos decât primul, era facut din dintr-un aliaj de argint.
Clopotul fu pus imediat  în clopotniță, fu sfințit dar când au tras clopotele, ca să vezi, nu avea nici un sunet, suna surd, de parca limba clopotului ar fi lovit in piele sau țesut.
Iar noaptea se adunau zânele in fața capelei  bătându-și joc malițioase și fericite  de bătrânul pustnic, cântând tot felul de rime și  versuri batjocoritoare care imitau ticăitul surd si ridicol al noului clopot.
Pustnicul si enoriașii urcau adesea  la bisericuță să cânte: cântau ei ce cântau, se rugau cât se rugau ca prefericita Fecioara să redea vocea clopotelor: dar, totul era în zadar, nici măcar cântecele nu se mai ridicau în aceste condiții până la  cer.
însa într-o noapte, tocmai în luna Sfintei Mării Mari, căruntul pustnic făcu un vis: i se părea  că sfânta Fecioară, Maica Domnului coborî prin cerurile deschise, îl luă de mână, îl purtă până la lacul înconjurat de coacăziș și de tufișuri de mure, acolo intră cu el în lac printr-un ochi de apă rotund. începură să se scufunde in apă. Eremitul tremura de frică dar femeia cerească îl încurajă să nu se teamă și se coborâră în profunzimile fără fund. Hoarde de monștrii marini diformi o zbugheau care pe unde putea când vedeau lumina cerească de pe  fruntea Fecioarei; mai apoi, jos, in fundul lacului eremitul reuși să zărească  clopotul pierdut; îl năpădiseră lianele acvatice care i  se încolăceau în jur, și deasupra clopotului dormea craiul zânelor, împăratul apelor: părea  o uriașă broască verde.  În jurul clopotului dormeau liniștite fiicele sale cu păr de aur.
Fecioara cerească zise pustnicului:
-Până cănd acest clopot nu se va întoarce din fundul laculuii, sunet de clopot nu se va mai putea  auzi pe acest plai.
Zicând astea lăsă mâna eremitului, care se sperie câ ramane în iaz,  se agită cu disperare să prindă mâna femeii divine, dar, se trezi și mult se mai miră, că nu avea hainele ude leoarcă.
A doua zi pustnicul povesti degrabă visul  locuitorilor din îmrejurimi.  Se prezentară imediat  flăcăi viteji, cu inima curajoasă, dispuși să iși incerce puterile: să străbată amăgitorul  câmp mișcător, să se scufunde în lac și să readucă vechiul clopot la suprafață. Nu se mai întoarse nici unul. Spiritele rele le-au înecat, le smulseră sufletul, nici măcar cadavrele lor nu fură  lăsate să se întoarcă la suprafață.
Tați grijulii plăngeau de durereaa pierderii fiilor lor vrednici, mamele rugau in genunchi  fii lor să nu care cumva sa meargă către coacazis, dar, degeba, că tot nu reușeau să-i oprească.
Acea sclipire albăstruie al ochilor de mare de pe podiș îi chema în mod irezistibil. Auzeau seara chemarea zânelor și nu mai aveau pace, trebuia să vadă ondinele care se îmbăiază în lac, cum își piaptănă buclele de aur, care le acoperă umerii albi. Nu se mai întorceau.
Jupânul secui, al cărui păstor furase clopotul bisericii, avea trei fii. Mama lor îi ruga din suflet să nu care cumva să se aventureze in apropierea lacului zânelor.  Dar ar fi făcut mai bine să nu se fi rugat atât de ei. Că așa e facut omul, cu cât e ceva mai periculos cu atat îl atrage mai mult.
Cireada era custodită în fiecare zi de câte unul din frați, taurul prim al mandriei era acum fostul păstor, cela transformat in taur negru. Când începea să se lase seara păstorul aduna animalele împrăștiate si le mâna către casă, ca să nu-l prindă înserarea în preajma lacului. O seară, când era rândul fiului  mai mare să șadă cu vacile, acesta legă taurul prim de un copac ca nu cumva să plece și se așeză la malul lacului.
Taurul  mugea si se zbătea încercând în fel și chip să-l cheme  pe păstor să meargă acasă, dar în zadar, tânărului nici că-i păsa de el. El aștepta zâne.
Când apăru luna pe ceruri, apăru și mica ondină pe lac.  Avea un chip fermecător, un corp ca o sculptură de coral,  purta o coroană de crini albaștrii, trupul îi era acoperit de un voal care sclipea în toate culorile curcubeului și părea atât de fin că la ce mai mică atingere poate s-ar fi evaporat.
Păstorul rămase vrăjit când o văzu; ochii îi ieșeau din orbite, mai că iși suspină tot sufletul. Prințesa ondină îi auzea bătăile inimii.
“Păstorelule frumos cu părul ca pana corbului” zise cu voce blandă și melodioasă  “vino cu mine să coborâm sub ape. Palatul meu e palat de cristal, cu acoperiș de mărgean, cu gardul de clarisse, grădina mea e plină de corali, hainele mi le țes viemii de mătase, bijuteriile mele-s perle din adâncuri; buzele-mi sunt dulci ca mierea, vocea mea te încântă. Mă vrei?”
Păstorul răspunse:
“Cum aș putea eu să te urmez preafrumoasă zână ? Nu pot eu să umblu pe ape, nu pot trăi in apă. Urmează-mă mai bine tu, că doar am și eu casă și grădină pe deal, când soarele răsare totul e mai frumos de orice palat din clestar si din margaritare. Vino și fii soția mea! “
Prințesa înotă cu cu aer docil până la el și când ajunse în dreptul său îi întinse mâna. Flăcăul gândi că prinde mâna fetei și o trage la mal, gândi că o va strânge în brațe, și nici dacă ar vrea ea nu se va mai putea întoarce în lac.
Însa, abia îi atinse mâna,  zâna îl înșfăcă cu o forță deosebită, deoarece zânele sunt mai puternice decât  omul, și cu o smucitură îl târă sub ape.  Apoi totul se liniști, doar muntii mai repetau  ecoul strigătului de moarte al flăcăului.
A doua zi fiul mijlociu merse să păzeasca animalele; și el merse seara la malul lacului să aștepte zânele; veni o altă zâna și mai fermecătoare decât prima. Se lăsă ademenit și al doilea fecior și pieri.
A treia noapte veni rândul mezinului să păzeasca vitele.
Degeaba îl implorau  mama  si tatăl său  să se ferească să nu cumva să ajungă la soarta fraților săi mai mari, flăcăul nu se ferea.
“Nu vă temeți voi pentru mine, că oricâte zâne mi-ar veni împotrivă, tot nu vor reuși ele să mă tragă pe mine în apă!”
Se duse feciorul cu cireada la păscut, își luă cu el o sfoară lungă, pe care o legă pe rând de coarnele tuturor taurilor și în cele din urmă de coarnele taurului prim, celalt capăt al frânghiei îl răsuci in jurul brăului său, lovi prietenește ceafa taurului prim:
“Dragul  meu servitor. Mă duc și eu sa vânez o zână. O amăgesc  să iasă la mal, îi prind mana, și când strig “Hop, in numele sui Hristos si a Sfantei Fecioare!” in acea clipită tu împreună cu toată cireada la un loc mă trageți cât de tare  puteți, să vezi că  scoatem zâna  din lac!”
Luna urcă pe cer, păstorul șezut sub un platin cânta înduioșător de dulce din fluier, când, pe oglinda albastră a lacului își făcu apariția cea mai tânără dintre zâne.
Era cea mai frumoasă dintre toate, avea in jurul capului o coroană de flori de nu-mă-uita, ochii îi erau tot de culoarea florii de  nu-mă-uita, atât de blândă, zâmbitoare, buzele trandafirii, corpul grațios si  tras prin inel, rochia sa de flori era transparentă.
Cum o văzu pastorelul încetă să mai cânte la fluier și îi zise cu curaj:
-Fată a apelor, zână frumoasă, vino, fii soția mea
Blândei copile, frumoasei fiice din neamul zânelor i se făcu milă de tânărul fragil și cu o voce care părea o melodie tristă  grăi:
“Pleacă frumos pământean, nu suntem noi făcuți unul pentru altul, nu e bine pentru tine să mă vezi!”
“Eu nu plec de aici făra tine”, răspunse păstorul
“Ce poate să iți placă atât de mult la mine? Dacă îți place colierul de perle ce-l port la gâtul meu alb iată, ți-l dăruiesc, dacă vrei cingătoarea  de aur din jurul brăului meu,  uite, ți-o dau și pe asta.”  Zicând aceste cuvinte iși aruncă colierul si cingâtoarea pe mal.
Dar tânărul nu avea nici de gând să plece.
“Nu vreau eu  nici perlele, nici aurul tău, pe tine te vreau toată.  Vreau buzele tale, vreau ochii tăi strălucitori, corpul tău frumos  de porumbiță îl vreau . Te-oi duce acasă la buna mea mamă. Purta-ți-vom cu dragoste de grijă,  fericită vei fi ca pasărea cerului.”
Zâna pluti cu tristețe  până la iarba înaltă de la mal. Plantele de sub apă se distingeau atât de bine că părea că se pot atinge cu mana.
Zâna ajunse in dreptul băiatului. Întinse mâna către el. În acea clipită  băiatul o inșfăcă dintr-odată cu stânga  și urlă căt putea de tare.
“Ops în numele lui Hristos si a Sfintei Fecioare,  tragee!  Mână măăă!”
Dar ar fi putut el să o înșfece și cu dreapta și cu ambele brațe, ar fi putut să fi fost tras nu de doisprezece  ci de douăsprezece ori doisprezece tauri, zâna cu o mișcare ar fi putut să-l târască la fundul lacului cu vite cu tot.   
Ar fi putut, de o mare mai profundă n-ar fi văzut , de  o lume mai frumoasă n-ar fi întâlnit în strălucirea ochilor în care a privit,  dacă mai puternic n-ar fi  focul vrăjit, ce leagă  privirile unui bărbat și a unei femei ce se regăsesc , de mai n-ar fi puternică această vrajă de orice meșteșug ceresc.
Mica zâna se surprinse dintr-o dată în brațele tânărului care, îi săruta pătimaș buzele trandafirii, simți cum focul acestui sărut îi topește puterea magică, îi schimbă sângele în vine și varsă în inima ei  o căldura până atunci necunoscută;  simți cum  încetează să mai fie zâna de neatins și cum devine  adevarată femeie  în carne și oase, femeie  iubită și iubitoare.
Când craiul apelor și surorile ondine văzură  că zâna pe care o trimiseră la suprafață nu rezistă, o urmară și se agățară de veșmintele ei. Monștrii acvatici, spirite ale apelor , liane îi încleștau picioarele, toate vroiau să o tragă îndărăt. Era prea târziu. Zânele nu mai aveau putere asupra tânărului pământean, pentru că, sora lor simțea dragoste pământească pentru el.  Împotriva acest sentiment  zânele nu a unici o putere.
Cireada de vite trăgea puternic înainte; zânei nu-i  ii mai ajungea apa doar până la genunchi, în timp ce la suprafața iazului se puteau zări capetele pătrate hidoase ale monștrilor acvatici care se agațau de ea ca să o tragă îndărăt. Încă o dată cireada  s-a urnit cu forța să tragă si în sfărșit zâna era pe uscat.  Monștrii se întoarsera pleoscăind în ape.  În urma lor, pe lac se formară gigantice talazuri atăt de năpraznice că, în impetuozitatea lor doborâră câțiva copaci de la  mal. Toată noaptea a clocotit apa ochiului de mare ca o căldare pusă pe foc, de  parcă vreo furtuna cerească ar fi  zbuciumat-o necontenit.
Tânărul luă în brațe frumoasa zână  pe care o răpise, o așeză încetișor  pe spinarea  taurul prim, dar numai după  ce pusese sub ea șuba lui ca să stea comod și o conduse la casa tatălui său.
Părinții săi abia crezură ochilor de bucurie când  văzură că fiul lor vine  acasă întreg si nevătămat.  Se minunară și mai mult când văzură splendida făptură pe care flăcăul o aducea acasă. În secuime sunt multe fete frumoase dar nici măcar acolo nu mai s-a mai văzut una atât de frumoasă ca aceasta.
“Iubiții mei părinți,  nu mă întrebați de unde vine doară și nici cum am găsit-o”, zise băiatul, ”ajunge-vă  să știți  că Dumnezeu mi-a dat-o, și a mea va fi până când Dumnezeu mi-o va lua.”
Bătrânii nici nu iscodiră defel,  se grăbiră doar să o  îmbrace cu niște straie decente cum poartă orișice fată din secuime și când îi puseră marama în cap, nimeni nu ar fi zis că nu o mamă de-a locului  a născut-o  ca pe orișicare altă fată.
De atunci încolo, cei doi tineri trăiau fericiți, se iubeau  ca doi porumbei în pădure, erau un cuplu de invidiat și de nedespărțit.
Nimeni nu bănuia că frumoasa domniță nu era născută de mamă pământeană. Doar mama soacră observa că, urmele lăsate de mâna norei adesea rămâneau umede; mai văzu  și că, în zilele secetoase de vară, ajungea ca  nora sa, zâna  apelor să treacă prin grădină că florile se reînvigorau, frunzele se întorceau la  viață, cupele florilor se scăldau în rouă, vedea că iarba creștea mai frumos in urma pașilor ei.
Se intamplă  ca zâna să nască  un băiețel; ea cufundă imediat  nou născutul  în apa din vană ținându-l de degetele picioarelor. Copilul se bălăci, se jucă cu apa, atunci zâna îl lăsă de picioare, iar copilul ca o mică broscuță înotă sub apă cu aceași ușurință ca și deasupra apei.
Nimeni nu află de năstrușnicia asta, pentru că, zâna era singură când le făcea iar pe când ceilalți soseau copilașul era învelit frumos în fașe și se odihnea la pieptul alb ca neaua al mamei sale.
Dar ori de câte ori însă se găsea singură cu copilul, zâna îi desfăcea fașele,  îl lăsa în apa din vană, unde el  se zbenguia și se bălăcea râzând,  scufundăndu-se uneori complet în apă. Așadar învăță mai repede  să înoate decât să umble cu picioarele pe pământ.
Doar șapte ani avea băiatul că deja reușea  să traverseze  înot lacul sfânta  Ana, dus și întors; putea chiar să aducă inapoi paharul de aur căzut pe fundul lacului; îi mai placea tare mult să culeaga flori și plante extraordinare de pe fundul lacului și le aducea mamei sale.
Oamenii îl porecliseră fantasticul sub.
Trecu vremea. Băiatul deveni flăcău în toată firea; cei care fură odata tineri  îmbătrâniră, bătranul pustnic de multa vreme se mutase  într-o capelă mai luminoasă, unde îngerii cântă și serafinii trag clopotele. Clopotul pierdut fu dat demult uitării,  obiceiul răspândit era că oamenii era chemați la liturgie bătâtnd toaca de lemn.
Doar chipul zânei nu s-a schimbat pentru că zânele nu cunosc bătrânețea. Ea și acum era o făptură la fel de delicată ca atunci când ieșise din valuri,  cine o vedea ar fi zis că e fiica si nu mama fiului său.
într-un an fu mare secetă  în toata secuimea. Degeaba cântau și se rugau oamenii în toate bisericile, nenorocirea nu trecea. Lacul de sus, înconjurat de coacăziș în schimb creștea, se umfla că părea că vrea să inunde satul.
În timpul acestui pericol amenințător zâna purtă fiul său la malul ochiului de mare. Acolo îi dezvălui taina apelor adânci.
“Aici, în acest  ochi de mare, într-un strălucitor castel de cristal trăiește tatăl meu,  verdele împărat al apelor.  Noi suntem trei surori, tustrei fiice ale aceluiași părinte, dar fiecare din noi are o altă mamă. Mama surorii mele mai mari era nourul, cealaltă soră avea drept mamă părâul de munte, iar mama mea e roua cerurilor. Tatăl nostru  este o fire nemiloasă și iute la mânie. Când e supărat cu întreaga lume, leagă în lanțuri și  închide în închisoare soțiile sale, mamele noastre: norul, părâul și roua. Uite vezi, de aceea se umflă apele acestui lac. De aceea este secetă pe întreg pământul, de aceea  au secat toate izvoarele.
Du-te fiule, coboară-te  sub ape!  Înainte însă taie-ți o nuia de gutui, cu aceea plesnește orișicine cine iți stă împortivă, nu te teme de nimeni!  Micuțe fantasme,  gigantice dihănii acvatice  scăpa-vor care unde poate dacă tu lovești fără teamă  între ei.  Dincolo de câmpul de crini galbeni  zări-vei palatul împăratului apelor. Castelul are pereții de cristal, e transparent  de-a întregul, înlăuntrul castelului sunt sute de saloane toate împodobite cu diamante și smeralde, pilaștrii castelului sunt  de rubin. Fiecare poartă e păzită de doi demoni acvatici cu colți fioroși. Să nu te sperii de ei, plesnește-i cu nuiaua de gutui, deveni-vor într-o clipită statui de piatră.  Vei atraversa o sută de odăi și o sută de coridoare până vei ajunge la iatacul regelui apelor. Pavimentul iatacului său e strălucitor căci e căptușit cu mărgăritare, tavanul e din perle, la ferestre in vase de smerald cresc bogate clarisse roșii ce au flori de diamante și fructe de aur.  Ramurile uriașelor flori susțin hamacurile  din fir de paianjen și  de mătase ale  zânelor. Pe ramurile groase ale acestor plante se zbenguiesc broscuțe mici și roșii care cântă  ca o ciocârlie și se joaca cu  șopârle albastre. În centrul iatacului se află o fântâna arteziană  de cristal, în care se  apa țâșnește prin gura unui pește de aur. În fundul sălii e tronul regelui . Tronul e susținut de patru pești  ce stau drept, in loc de picioare. Acolo șade împăratul cu barba de argint, imbrăcat în catifea verde cu un șarpe argintiu încolăcit drept cingătoare la brâu. Pe de o parte și de alta stau suratele mele care îi fac vânt cu aripioare mari de pește. Tu să nu te temi, mai degrabă ei se vor speria, muritor nu a ajuns acolo vreodată. Tatăl și surorile mele te vor linguși, te vor ademeni. Îți vor arăta camera comorilor unde stau adunate grămezi de aur, argint, pietre prețioase, mărgăritare. Îți vor oferi să te servești din ele, dar tu să nu iei, să nu te atingi de nimic. Ai să vezi însă înșirate niște sticle goale; pe acelea să le ceri. Nu sunt ele goale cum îți apar, în ele sunt închise sufletele celor înecați în ape, printre care și sufletele unchilor tăi, suflete pe care surorile mele le-au stors și le-au închis în aceste sticle. După ce le vei fi luat  te vor conduce in sala unicatelor. Aici sunt înșirate tot felul de vase sculptate,  cupe bogat împodobite că e mai mare minunea să le vezi
Tu nu lua nimic din ceea ce ei îți oferă.  Zări-vei  în schimb, într-un cătun ascuns  un clopot prăfuit și ruginit de vreme, cufundat pe jumătate în nămol, năpădit de liane și împânzit de rădăcini acvatice. Cere-le clopotul, nimic altceva. Daca s-ar opune amenință-le că  lovi-vei clopotul și-l vei face să sune.  Vor fi dispuși atunci să iți dea orice; când vei avea clopotul in mână, poartă-l  cu grijă afară din palat, fii atent  să nu zăngăne, dar când ai ajuns vei fi în afara palatului lovește-l  de trei ori cu nuiaua zicând numele Domnului Dumnezeu. Cu astea misiunea ta s-a încheiat și poți să te întorci la suprafață.
Fantasticul sub purcese la drum urmând sfaturiel mamei sale. Tăie întâi în pădure o creangă de gutui  și acolo unde sunt cresc crinii galbeni se aruncă în apele iazului.
Abia scufundat in apă fu imediat înconjurat de  monștrii apelor: dihănii cu capete pătrate, cu corpuri amorfe, cu ochi arzători,  șerpi cu fețe omenești, salamandre de toate culorile, pești cu bot de ferăstrău, demoni acvatici în formă de cal, șerpi spiralați și alte mici arătări de toate felurile care pișcă, gâdilă, iți beau sângele, iar printre aceste animale se mai zăreau și ramurile miriardelor de liane și ale altor plante acvatice, ale căror brațe căutau prada, ca să se încolacească în jurul ei, să o înlănțuiască  și să o tragă către gura lor ascunsa sub rădăcini, unde să-l stoarcă de vlagă.
Fantasticul sub nu se pierse cu firea, ci lovi cu nuiaua cele opt brațe ale meduzei înfometate, atât de puternic  o lovi încât aceasta înebunită  de durere fugi  înspăimântată  și  se retrase în  grabă in cochilia sa.
Cu mâna liberă flăcăul luă de ureche unul din cei mai groși monștrii,  îl biciui cu verga sa de gutui. Acesta incepu să urle de durere în timp ce frații săi speriați scăpau în ruptul capului ascundându-se fiecare unde putea. Cu astea el se urcă în spinarea  monstrului îmblânzit și îi porunci să-l ducă imediat la castelul regelui apelor. 
Împaratul verde al zânelor tocmai ațipise, moțăia pe patul sau de mușchi verde, când pe coridoarele castelului său răsună ecoul pașilor fantasticului sub .  Craiul tresări.
”Cine e temerarul care se încumetă să vină aici?”- strigă și luă verga sa cu crini de aur, dar flăcăul răspunse cu curaj , lovind întăi verga împăratului iar apoi pe împăratul însuși. Împăratul scăpă arma din mână și urlă atât de tare că lacul întreg începu să clocotească.
Monștrii și zănele se aruncară la picioarele tânărului implorându-l să nu le facă vreun rău, că mai bine îi dăruiesc tot ce-i poftește inima: aur, argint, pietre prețioase, poate sa aleaga ce vrea.
”Nu vreau eu nici aur, nici argintul vostru”- zise flăcăul- ”redați-i pe unchii mei si pe ceilalți tineri înecați în iaz al căror suflet l-ați legat , zâne rele ce sunteți!”
Zânele purtară  sticlele de cristal, tânărul le deschise. Din fiece sticlă ieși o bulă mare, albă de aer care urcă lin către suprafața apei; in timp ce se strecurau  prin gura strâmtă a sticlei suspinau cu voci omenești.
 Zânele îl imbrățișară,  îl lingușiră, îi oferiră toate de-ale gurii, îl ademeniră să petreaca cu ele, să se umple de comori și așa să se întoarcă acasă.
“Nu doresc eu nimic ce e al vostru. Eu am  venit pentru ce e al Domnului.  Redați capelei  clopotul  ce-l țineti ascuns!”
La auzul acestori vorbe zânele începură să țipe și să se tânguiască  iar barba  bâtrănului rege crescu într-o clipită pe încă odată cât de lungă era.
Tânărul găsi clopotul, îl curăță  cu grijă de nămol și de liane, și îl purtă cu el în afara castelului.
Afară din castel, încă sub ape lovi cu nuiaua de trei ori clopotul în numele Domnului. De trei ori sună clopotul cel sfânt.
La primul sunet de clopot, se prăbuși în tăcere, fără glas întregul castel de cristal,
Coloane splendide, pereți căptușiți cu aur pur, tavanuri decorate cu mărgăritare, toate deveniră nisip si deveniră pietre.
La al doilea dangăt monștrii apelor se micșorară și dispărură în fundul lacului ca si cum nici nu ar  fi fost vreodată.
La al treilea sunet de clopot, printre ruinele vechiului castel apărură doi șalăi frumoși iar pe vechiul horn ședea mototolită  o broasca râioasă. Șalăii erau zânele și broasca era verdele împărat. Până și azi le-am putea întâlni sub această formă.
Când băiatul ajunse cu clopotul regăsit la suprafața lacului, iacă văzu plutind lin pe oglinda apei douăsprezece lebede albe, întocmai câte suflete prizoniere  a eliberat. Două lebede se apropiară de el, părea că vor să-l îmbrățișeze cu aripile, să îl sărute cu ciocul de parcă ar fi vrut să-l salute, apoi toate laolaltă emiseră un cânt vrăjit,  își desfăcură aripile albe ca neaua și  se înălțară sus, atât de sus că poate  intrară chiar în cer.
Îndreptăndu-se către casă feciorul întâlni cireada sa de vaci și mult se mai miră când, în preajma cirezii sale văzu un păstor bătrân necunoscut  care avea până și un clopoțel la gât.  El era cel care aruncase clopotul bisericii în apele iazului, același clopot pe care acum tânărul flăcău îl purta pe umeri să- l aducă indărat, și iacă  bătrânul păstor se îngenunche la picioarele băiatului ca să mulțumeasca cu lacrimi ziua salvării sale.
Când tânărul ajunse la casa părintelui său, îi veni în intâmpinare o măicuță bătrâna care se sprijinea de brațul tatălui său; si iacă bătrânica îl imbrățișă și îl sărută.  Tânărul întrebă mirat cine e măicuța aceasta.
” E mămica ta fiule”, răspunse tatăl, ”cât timp tu ai fost departe, de la un moment la altul văzând cu ochii începu să își ajungă anii din urmă, iar acum e bătrâna ca și mine. Acum iar ne potrivit unul cu altul,  vom trăi și vom muri frumos alături.
În clipita în care, fiul rupse vraja, încetase și ea să mai fie zână.
Clopotul fu repus cu mare fast în turnul capelei. Spre mai marea bucurie a călătorilor, spre consolarea pelerinilor răsună din nou cântul pe întreg plaiul, clopotele  chemau lumea  la rugăciune și pentru sute de ani lacul deveni locul de pelerinaj cel mai iubit de secui.
Însă azi, dacă sânzienele or mai fi trăind vreundeva în adâncul apelor, ar putea chiar să-și ocupe din nou iazurile;  că nu mai există nici capelă, nici clopot nici cântări la lacul Sfânta Ana.
Doar liniștea profundă și plină de dor șoptește la urechea  singuraticului călător  că a fost veme în care, pe acest pamânt, in acest ochi de mare zânele trăiau și domneau.