giovedì 20 giugno 2013

LA MORTE E LA RELIGIONE IN C.G.JUNG Teszler Lucia Angela (originally in Proceedings of Conference on Metaphisics in Third Millenium (pag.199-215) http://metaphysics2009.org/index.php?option=com_docman&task=doc_view&gid=212&Itemid=37&lang=en In a traditionalsociety, death means the ful filment of life. Life does not disappear through death, on contrary, the conscience of death makes life worthly of being lived and seen as a duty, as process of perfecting. For Freud,the need to believe, the principle of any religion is the fear of death, both the fear of the end of his own life, and the terror of the terrible power of dead. For Jung, thingsa are different: religion, the religious feeling is a gift, human being is born whit it in soul and it is connected to the capacity to marvel and it is expressed – aware of it or not- through symbolical activity. Significant is that for Jung a Geist – Spirit concepts exist while it did not exist for Freud. But how does this Spirit manifest itself and what is its connection to death in Jung opinion? Jung is obsessed with the passage between life and death. His licence paper is about occultism. An essential part of the soul remains alive thanks to the collective unconsciousness. The fact that his guru was Filemone, a gnostic wise man dead thousand years ago, is not an accident. On the other hand the confrontation with the unconsciousness, the nekya, means for Jung the departure for the dead world. The collective uncounsciousness follows other rules than those of cause and effect, it follows those of syncronicity. All this talk about death let us see- in Jung’s opinion- a supposed apriori faith in a kind of immoratlity. I would like to analyze these complex interconnections betweemn these experiences and death in Jung’s theory. Per motivi di migliore sistematicità ho scelto di approfondire il rapporto complesso religione -morte- immortalità in Jung paragonandola con lo stesso rapporto religione - morte in Freud. In fondo i due, uno il maestro e l’altro il discepolo prediletto hanno costruito le loro concezioni sulla religione confrontandosi l’uno con l’altro La paura della paura della morte e il bisogno di credere in Sigmund Freud Per Sigmund Freud la religione è una forma di illusione, illudersi che le sofferenze hanno un senso, che il mondo e condotto da un Dio buono, paterno e da una Provvidenza. Il bambino, e similmente a lui tutti i uomini e tutte le culture primitive costruiscono l’immagine di Dio sul modello del padre 1 che protegge, impone le regole e perdona. Questi meccanismi difensivil’illusione di essere protetto, perdonato, sono per Freud le punti chiave della religione. Infatti tre sono i compiti fondamentali del Dio e degli dei: esorcizzare le paure sentite davanti alla natura, riconciliarlo con la crudeltà del destino, in particolare modo quando questa si manifesta attraverso al morte e infine rappacificarlo con le regole imposte dalla società2. Probabilmente il secondo compito della religione, quello di dare senso a un destino crudele e alla morte è il compito più difficile, e spesso l’uomo rimane tragicamente deluso, con il presentimento che nemmeno gli Dei, o Dio possono cambiare il destino. Infatti nella Grecia antica le Moire, che tessono e poi tagliano il filo del destino, stano sopra gli dei, e cosi anche gli dei hanno un destino alcune volte doloroso ed ineluttabile. Freud considera che la negazione della morte, la sublimazione della paura della morte in religione avviene in diverse forme: attraverso la nascita della credenza negli spiriti dei defunti3 che sopravvivono in una forma o altra; attraverso il sacrificio, sacrificio che rende senso all’esperienza della morte e attraverso il mito della resurrezione. Cosi il concetto di Dio, di Sacro nasce come negazione della tragicità della morte, cosi un nulla assoluto, un nonsenso, l’esperienza dell’enigma par l’excellence, l’enigma della morte, vengono compensate con un tutto assoluto, con la pienezza del significato, la nonesistenza assoluta viene compensata con una esistenza suprema4. Ma con l’illusione protettrice che ce la offre della religione l’uomo rimane sempre un bambino, che si nasconde dietro l’immagine del padre per esser protetto dalla morte e dal proprio destino. Freud da vero erede degli illuministi5 e del positivismo considerala paura della morte come un residuo delle epoche precedenti di cui l’uomo moderno deve liberarsi, e le religioni, gli spiriti e le oscure ombre dell’inconscio sono appunto le malattie portate da rimanenze di uno stadio pre-cosciente , paure che la condizionano negativamente e di cui si deve eliberare. Invece Freud non ci spiega cosa si dovrebbe fare, come si dovrebbe gestire questa paura. Nelle sue opere tardive6 lui stabilisce addirittura che dentro di noi accanto alla pulsione erotica, che cerca la soddisfazione degli impulsi e dei desideri, c’è anche il principio tanatico, la pusione di morte cioè la ricerca inconscia della rovina e dell’autodistruzione. Questa pulsione si nasconde spesso dietro discorsi di valori della vita, per esempio del motivo della guerra (independenza, libertà), il gusto del gioco di azzardo o gli sport estremi. Attraverso questo istinto siamo noi stessi che desideriamo provocare la nostra morte. Jung e la religione Non mi propongo qui di dare un’immagine complessiva della religione in C.G. Jung, che comunque sarebbe un lavoro molto più impegnativo, vorrei solamente sottolineare che il punto di origine dell’esperienza religiosa in Jung è radicalmente diverso da quello di Freud. Seguendo anche in Jung l’esperienza religiosa primaria vediamo la sua autobiografia. La sua prima esperienza scombussolante del sacro, a quattro anni è il sogno dove ha la visione del dio fallo sotterraneo interpretata cosi dell’autore. Chi parlava in me? Quale spirito aveva immaginato quelle esperienze? Quale intelligenza superiore operava? (…) Chi congiungeva il mondo celeste con il mondo sotteraneo e poneva le fondamenta di tutto ciò che avrebbe agiato la seconda metà della mia vita con tumulti appassionati? (…) Chi se non quel ospite straniero venuto sia del mondo celeste che da quello degli inferi?7 Certamente si tratta dell’interpretazione di Jung ottantenne e non del vissuto di Jung bambino. Comunque vediamo che l’esperienza religiosa originaria è interpretata come l’irruzione di qualcosa di estraneo nella coscienza ovvero nel sogno del fanciullo. Questo “ospite straniero”, non appartiene al proprio, al familiare, ma è qualcosa totalmente diverso, un “ganz andere” , di un’età immensa che impone con un senso indiscutibile di oggettività la sua presenza. La rappresentazione del Dio come phallos cioè come uno spirito fecondatore verrà approfondita da Jung in Wandlungen der Symbole. Nel ricordo è risentito come uno spirito superiore che stravolge ed affascina sia il bambino sia l’anziano Jung che ricorda e che interpreta questo sogno come una sacra iniziazione, un collegarsi del cielo con il mondo sotterraneo, un momento sacro che lo porta fuori dal tempo, per mostrargli in noce tutta la opera futura della sua vita, tutta la sua vocazione. Jung avrà ancora molti sogni in cui il mondo del sacro gli si impone scombussolando la concezione comune della religione, ma nessuna di queste esperienze è collegata con qualche forma di paura della morte. I sentimenti con la quale sono descritte le esperienze religiose sono tutt’altre. Per esempio come fanciullo, lui scopre che oltre la sua personalità infantile cangiante lui è anche un altro, ha una seconda personalità descritta cosi. Oltre al suo mondo scolaresco: esisteva un altro regno, un tempio nel quale chi entrava si sentiva trasformato e di colpo soprafatto da una visione dell’intero cosmo, si da dimenticare se stesso, vinto dallo stupore e dall’ammirazione. Qui viveva “l’Altro” al quale Dio era noto come un segreto nascosto, personale e al tempo stesso più che personale; qui nulla divideva l’uomo da Dio, come se la mente umana potesse mirare la Creazione all’unisono con Lui (RSR, p.74)8 Jung scopre che c’è una parte profonda in noi per la quale la vicinanza del Sacro è naturale, anzi che veste alcuni tratti del sacro, che trasforma e rende invincibili. Sembra che infatti al questo livello si vive in una vera unione segreta permanente tra dio e uomo. Certamente questo sentire e questa scoperta deve rimanere segreta. Proprio questa è l’età quando il piccolo crea legami segreti con il fuoco che diviene attraverso un investimento animistico il “fuoco eterno, con la sua pietra che diventa lui stesso, con un bambolotto da lui costruito, il cui facsimile lo scoprirà molto più tardi in un tribù africano. Il ricordo di queste esperienze fanciullesche non lo porteranno alla conclusione che l’esperienza religiosa primaria sia qualcosa di infantile, al contrario, che esiste una oggettività nelle metamorfosi, nelle vicende dello psyche che si manifesta attraverso simboli religiosi universali. Il fatto che l’ investimento animistico spontaneo del mondo in aura sacra risentita come miracolosa, scioccante e segreta è una proiezione della nostra anima non riduce il suo valore poiché non possiamo in nessun caso banalizzare o semplificare l’anima, ovvero lo spirito umano. I sentimenti dominanti dell’esperienza religiosa sono lo stupore- lo scombussolamento degli comuni criteri del sentire religioso e nello stesso tempo l’ammirazione, il sentimento che qualcosa grandioso e miracoloso ci si manifesta, tutte queste avvolte in un segreto nella quale le più belle rivelazioni individuali devono essere avvolte. Cosi Jung rimane con il sentimento che al di la del’ esperienza religiosa comune “c’è qualche altra cosa, una cosa assai segreta di cui nessuno sa niente (p.48). Se prendiamo come riferimento la definizione dell’esperienza religiosa di Rudolf Otto, possiamo dire che Freud accentua l’importanza del sentimento creaturale- il sentirsi polvere e cenere avanti al padre- creatore, e del tremendo- della paura angosciante, nella nascita della religione (come risposta a queste angosce ) mentre Jung accentua l’elemento fascinans, la fascinazione e l’energia. L’inconscio e l’anima mundi, l’eredità romantica dello psicoanalisi. La psicologia analitica di Jung, come la psicoanalisi di Freud è tardo erede del romanticismo10, solo che i loro modi di elaboralo sono diverse. La sola psicoanalisi invece è l’erede del positivismo, dello scientismo e del darwinismo, e rinuncia al livello cosmico dell’inconscio dove secondo il romanticismo la natura e lo spirito ritrovano i loro sorgenti comuni; La psicologia analitica rifiuta l’illuminismo e ritorna alle fonti originali della psichiatria romantica e della filosofia della natura. Questa differenza determina chiaramente anche la loro diversa visione dello spirito e della morte. D’altronde secondo Barnaby e Acierno la differenza fondamentale tra Jung e Freud è proprio il fatto che mentre per Jung esiste un concetto dello spirito mentre per Freud no. Vediamo in poche righe cosa intendeva il romanticismo con lo Spirito e da qui si vedranno chiaramente le somiglianze con il concetto dell’inconscio collettivo di Jung. Il romanticismo, in opposizione con l’illuminismo affermava i valori dell’irrazionale, di qui l’interesse per le manifestazioni dell’inconscio: sogno, genialità, malattia mentale, miti e simboli – che non erano concetti astratti o errori della storia ma forze vitale e realtà. Cosa è l’inconscio nel romanticismo? I romantici ritenevano che il fondamento della natura è lo stesso fondamento dell’anima umana, per loro c’è un unità fondamentale tra l’uomo e natura. “La natura è spirito visibile, lo spirito è natura invisibile” diceva Schelling. L’anima del mondo ha prodotto la materia, la natura vivente e nell'uomo la conoscenza. Secondo Carus11, che ebbe un’influenza decisiva su Jung l’inconscio è il vero fondamento dell’essere umano, essere le cui radici affondavano nella vita invisibile dell’universo e perciò era il vero legame dell’uomo con la natura. Per Schopenhauer la cosa in se kantiana è uguale alla volontà e all’inconscio. Questa è una forza dinamica cieca che regna nell’universo e che guida l’uomo, ma che lo inganna anche, guida i nostri pensieri ed è l’antagonista dell’intelletto. Infine, per Eduard von Hartmann l’inconscio, è intelligente anche se cieco, fa da struttura portante all’universo visibile e veste tre forme; inconscio psicologico, fisiologico e l’inconscio assoluto- che è la sostanza dell’universo. Nel pensiero antropologico e psicologico di Schopenhauer e poi nel pensiero neoromantico di Nietzsche possiamo trovare molti termini, concetti, discorsi simili a quelli di Freud, ma nella rappresentazione dell’inconscio Freud esclude quell’elemento romantico che collegava l’anima umana con l’intero universo. Jung invece ristabilisce questo legame tra anima individuale e anima mundi attraverso l’inconscio collettivo. Il romanticismo aveva un’attrazione anche verso la morte, che attraverso quest’anima mundi o grund assicurava la sopravvivenza dell’anima. Jung e la morte Nel pensiero razionale-illuministico freudiano, anche se il ruolo della ragione è quella di svelare i meccanismi irrazionali – fin’allora negati - e togliere i nostri pregiudizi su noi stessi, non per trovare il senso positivo, profondamente umano a questa irrazionalità e alle pregiudizi, come fa l’ermeneutica, ma per poterla considerare una cosa infantile, oscura, da oltrepassare. Alla fine togliendo diritto di cittadinanza di tutto ciò che è irrazionale, l’uomo perde il legame con la propria mondaneità e con la sua anima, che è molto più della razionalità ovvero della coscienza umana, la paura, l’angoscia avanti alla morte aumenta e appare in diverse forme nevrotiche, poiché la morte sembra insensata, non sembra più una meta o un compimento12 della vita. La religione è una preparazione alla morte, e le idee mitologiche-religiose non sono imposte da un pensiero razionale ma ci assalgono dalla profondità dello nostro più profondo strato psichico, che non ha a che fare con la coscienza. Le verità religiose ci assalgono come rivelazioni., proprio perché sono prodotti spontanei dell’inconscio e perché hanno una storia considerabile. Essi sono lentamente cresciuti, come piante, nel corso dei millenni, quali manifestazioni naturali dell’anima dell’umanità. E loro ci aiutano a capire, ad accettare come vicenda naturale dell’anima, che la morte è proprio il compimento della vita. Cosi come la traiettoria di un proiettile termina al bersaglio, la vita termina nella morte, che è quindi il bersaglio, lo scopo di tutta la vita.14 Jung e ossessionato dal passaggio vita morte le mie opere sono stati tentativi sempre ripetuti di dare una risposta al problema della correlazione tra “al di qua” e “al di là” (RSR p.354) ma nelle sue opere possiamo parlare dell’angoscia della morte solo come una forma malata di paura del vivere. Lui ha scelto di scrivere la sua tesi di laurea sull’occultismo- proprio perché lui credeva apriori, grazie alle proprie esperienze, in una certa forma d’immortalità dell’anima. Poi non dobbiamo dimenticare la sua nekya, la discesa nel regno dei morti e il dialogo gnostico Septem Sermones ad mortuos che collegano la vita con la morte attraverso l’inconscio collettivo. Come studente nelle conferenze di Zoofingia Jung ipotizzava già l’esistenza di un anima: immateriale, trascendente, fuori del tempo e dello spazio, da sottoporre a un’indagine scientifica attraverso lo studio del sonnambulismo, l’ipnosi e le manifestazioni spiritistiche. La sua opera mira tal scopo, a dimostrare con mezzi scientifici, attraverso l’empirismo e fenomenologia, l’esistenza di questa anima eterna. Il punto di partenza per Jung per formarsi una opinione sulle basi scientifiche sulla vita dell’aldilà è costituito dagli indizi che ci vengono dall’inconscio per esempio nei sogni, anche se una tale teoria sarà costruita sulla intuizione e rimarrà sempre ipotetica, ma ci potrebbe rendere piena la vita. Dalla sua esperienza psichiatrica, dai molti analisi dei sogni dei moribondi o dei malati Jung osserva quanto poco conto l’anima inconscia facesse della morte.15 L’inconscio si preoccupa tanto che l’uomo che sta per morire diventa cosciente dalla vicinanza della morte, è una grande differenza che la coscienza vada a pari passo con l’anima, oppure si abbrachi ai pensieri che il cuore ignora. Ma una volta coscientizzata la vicinanza alla morte i sogni diventano normali, comuni. Come se la morte fosse una cosa non tanto essenziale, al massimo una tappa che si deve conscientizzare. Poiché “la morte significa uno stato di estinzione della coscienza e quindi una sospensione totale della vita psichica nella misura in cui questa è capace di coscienza.”16 Sembra che l’inconscio, cioè l’anima umana si preoccupi di più del modo in cui si muore che del fatto effettivo che si muore. Tutto questo perché solo la vita consciente smette di esistere ciò che presuppone che ci sarà un’altra parte , la parte inconscia dello spirito, l’anima umana, che abbiamo visto possiede una certa autonomia prosegue la sua strada. Per essa la morte non coincide con la conclusione di un processo ma uno tra i molti eventi lungo la via dell’individuazione. Anima e eternità Nelle sue introduzioni al Libro tibetano dei morti e al Libro tibetano della grande liberazione critica il pensiero Occidentale per aver rinunciato dopo il medioevo al ragionamento analogico, alla credenza in uno Spirito attraverso il quale l’anima individuale sia legata all’universo, e all’anima del mondo17. E la conseguenza dello sviluppo della filosofia occidentale di aver staccato lo spirito “dalla sua originaria unità con l’Universo” “L’uomo ha smesso di essere microcosmo” la sua anima non è più “la scintilla consustanziale di questo né una scintilla dell’anima del mondo Chiaramente risulta che il mondo umano viene costruito dalle proprie credenze, più che di una verità razionalistica. La sua nostalgia e le sue intenzioni si inquadrano nella filosofia romantica della natura e nella psichiatria neoromantica ma non significano meno desiderio di ritrovare il legame dell’anima con la natura profonda delle cose. Lui vuole ricollegare lo spirito umano con la sua originaria unità con l’universo. L’Oriente, al contrario dell’Occidente non ha rinunciato allo Spirito, come dimostrano i libri da lui introdotti. Jung dichiara di non aver nessun presupposto metafisico bensì la sua teoria dell’inconscio collettivo é una forma di Anima Mundi collegata con lo spirito individuale, vestita e spiegata in panni scientifici. La sua teoria dell’inconscio collettivo è una dimostrazione scientifica dell’esistenza di uno spirito oggettivo, autonomo, fondamento delle immagini dell’anima. In effetti, anche se usiamo spesso il termine anima, spesso con connotazioni riduzioniste “né sappiamo, né supponiamo di sapere che cosa sia lo psichico”. I simboli religiosi, o le proiezioni animistiche provengono dallo Spirito inconscio, dalla psiche ma l’essenza della psiche si estende in tenebre che sono molto al di là delle nostre categorie intellettuali18 (AM, p.444). La coscienza individuale è considerata come espressione momentanea e caduca di un’altra sostanza che invece perdura. Quando riflettiamo sull’incessante sorgere e decadere della vita e della civiltà, non possiamo sottrarci a un impressione di assoluta nullità, ma io non ho mai perduto il senso che qualcosa vive e dura oltre questo eterno fluire. Quello che noi vediamo è il fiore che passa, ma il rizoma perdura.19 Per circoscrivere il modo di esistere di quest’anima che perdura, oltre la vita individuale, Jung mette in discussione la validità, i limiti della validità dei concetti spazio, tempo, causalità. Infatti lui considera le categorie kantiene della coscienza come categorie apriori che si limitano a definire la coscienza, imponendole i limiti di funzionamento, dando un fondamento valido alla sua idea sulla esistenza di una parte dell’inconscio che non entra in quelle categorie cioè nell’esistenza dello spirito extra spazio – temporale. Comunque sono indicazioni nei sogni, miti, fantasie, che almeno una parte della psiche non è soggetta alle leggi dello spazio e del tempo- prove di esperimenti di percezioni extra- spaziali, la psiche a volte funziona al di fuori della legge di causalità spazio –temporale. Uno degli argomenti più forti per dimostrare la realtà dell’anima fuori dello spazio-tempo sono gli eventi sincronici, modello elaborato di Jung in collaborazione con il fisico W. Pauli, che ha aggiunto fatti provenienti dalla fisica elementare. Gli eventi sincronici sono legami acausali tra eventi oggettivi ed eventi soggettivi, la significativa coincidenza o corrispondenza tra un accadimento psichico ed uno fisico. Il loro legame non può essere ridotta a una causalità nello spazio tempo, ma hanno un’unità di senso. Cosi: Dobbiamo prendere in considerazione il fatto che il nostro mondo- con tempo, spazio e causalità- è in rapporto con un altro ordine di cose (che si cela sotto o dietro di esso), nel quale né qui e li, ne prima e dopo hanno un significato20. Come conclusione ovvia a questi fatti per Jung si impone il fatto che: AM, p445 La psiche partecipa profondamente a una forma di realtà extra- spazio –temporale e appartiene a ciò che in modo simbolico viene detto “eternità”. Intendiamo attraverso questo temine eternità, non solo una sopravvivenza temporale dopo la morte, ma il fatto che l’anima nello stesso tempo che in maniera conscia vive nello spazio tempo, la sua parte che appartiene all’inconscio collettivo o all’anima mundi, vive la sua condizione che trascende lo spazio e il tempo

martedì 18 giugno 2013

Il senso metafisico del desiderio dell'immortalità


Relazione presentata alla Conferenza Metafisica nel terzo millenio a Roma il 2003


LA SIGNIFICATION MÉTAPHISIQUE DU DÉSIR DE L’IMMORTALITÉ
TESZLER LUCIA ANGELA,
Oradea, Romania

Resumé:

Nous allons analyser certains aspects concernant le desir, tel le desir de l’immortalité, tenant compte des aspects soteriologiques. Le desir de l’immortalité ne peut pas etre tranqillé par une promission d’une survivance impersonel . Le desir d’immortalité est le désir du salut de notre identité personnelle y compris nos souvenirs, nos reves, nos liens affectifs, alors notre temporalité dans un état permanent de quiété.
L’aspiration á l’immortalité est une une constant de l’éspirit humain. Elle se manifeste sous les multiple visage du désir, car tout désir est un désir de l’immortalité. Il serait facile si notre ame seul, issue du ciel aspirait á l’immortalité. Mais quand la douleur, la maladie rapellent á notre corps qu’il est éphémere ou quand certaines formes du plaisir nous rend l’illusion d’ omnipotence, c’est alors quand le désir de l’immortalité devient acharné.
Le desir, la passion, et surtout l’amour est une recherche désespérée pour justifier sa propre existence. Et cette justification on l’attend de la part de l’Autrui ( homme ou Dieu, en tout cas une Exteriorité). Ce n’est que le regard et le désir de l’autrui qui donnent sens á son existence.
Le desir métaphisique c’est l’attraction vers l’existence de ceux qui sont. C’est grace á désir qu’il y a plutot quelque chose que le Rien, autant que l’aspirations vers le Rien est aussi une forme du recherche de l’immortalité.
L’Occident (le monde greco-romain et celui chrétien) et l’Orient ( le buddhisme et le hindouisme ont attitude differente devant le desir, mais dans tout les deux situation l’attitude vers le desir est le clé métaphisique du salut. Le témoignage de ces passions avec tout les souffrances d’une part le renoncemment aux desirs,l a cause du souffrance universelle, d’autre coté -voici la voie vers l’accomplissement..
Les désirs créent des mondes possibles, tout désir ouvre un possible avenir. La force de ces désires continue le cycle de la vie et de la souffrance, dans la philosophie hindoue. Dans la philosophie Occidentale, au moins chez Leibniz et Heidegger la tautologie du reél donne naissance aux regrets et meme a une sentiment du peché, la peché de perdre milles possibilité en choisissant une seule. C1est une peche lié á notre temporalité. La totalité á laquelle on aspire est l’accomplissement simultan de tout les mondes possible qui ont jamais existé, dans la conscience divine ( et non pas seulement de celle du meilleur monde possible) et le meme temps est le témoignage de toutes les existence possible, tel que Borges le voit par El Aleph ou tel que Rembrant se transpose en tout sortes des personages dans ses autoportraits.

Parlerò sull’immortalità, sulle significazioni soteriologiche del Desiderio come desiderio di immortalità. Non affrontiamo il problema ontologico dell Immortalità, sostengo che non possiamo parlarne. Analiziamo invece le varie forme e speculazioni sull Desiderio dell’Imortalità, un Desiderio che ci conduce nell nucleo dell autocomprensione umana
Prendo come punto di partenza l’idea dell’alienazione cioè l’idea che ci sentiamo in questo mondo come degli stranieri e del sentimento di angoscia esistenziale che ci assale a causa di ciò.
Grazie alle nostre cure, alle preoccupazioni quotidiane viviamo nella "Dimenticanza", dimentichiamo che siamo stranieri, che questa non è la nostra vita originaria, non è la vita per la quale siamo stati creati.
Non possiamo capire la ragione della morte e non siamo in pace per il fatto che siamo limitati.
Come se all’inizio quando ebbe origine il genere umano ci fu dato l’immortalità e l’eterna giovinezza ed esse erano nostre nella Vera Vita.
La religione e le credenzze religiose mettono questa epoca della Vera Vita in un Tempo Sacro delle Origini, in illo tempore, allora, avevamo una condizione che abbiamo perduta a causa di una nostra colpa.
La ricerca dell’immortalità, la rivolta contro la morte ed il desiderio di rivivere la situazione originaria di beatitudine è una ricerca constante dello spirito umano.
Questa ricerca può avere numerose facce.
Alcuni cercano di prolungare la vita fin tanto che è possibile. Per cui quanto grazie alla medicina moderna possiamo godere di un allungamento della vita accanto ai nostri cari consideriamo questo naturalmente un bene.
Ma prolungare all’infinito la vita non ne toglie la fragilità, e con la fragilità, quando qualsiasi evento può distruggere la nostra vita, non è possibile l’immortalità. Poi vedremo come questa fragilita sarà essenziale per conservare il valore della vita.
Alcuni arrivano ad usare le tecniche dell’ibernazione o come gli Egizi l’imbalsamazione per tentare di ottenere una temporalità infinita, ma possiamo considerare questo stare, una vita?!
Borges ha scritto una novella che si intitola l’Immortale. In questa novella un soldato romano sente dire che c’e un luogo nel mondo, nel quale c’e un ruscello che rende immortali. Stanco e spossato dalla ricerca, beve dell’acqua sporca di un ruscello e vede che non invecchia e non muore più.
Poi scopre una città che crede la città degli immortali. Ma è una città completamente assurda, con una geometria assurda, simbolo dell’assurdità di una ricerca dell’immortalità come prolungamento all’infinito della vita. Gli immortali dopo essere vissuti nella meravigliosa città di cui la leggenda parla, la distrussero, erigendo sulle sue rovine questa parodia, e ne uscirono. Loro vivono esteriormente una vita semibestiale ma è una vita di puro pensiero.
Dopo dieci secoli decidono di cercare il fiume che toglie l’immortalità. Perchè l’immortalità in questo modo non ha senso. Anzi conduce a perdere il significato di tutta la vita
Male e bene, genio e stupidità, meriti e infamie nella prospettiva di un tempo infinito si annullano a vicenda, nulla più ha valore, ogni uomo è tutti gli uomini. Tutto viene a noia.
Solo con la morte esiste qualcosa che ha un certo valore. Nulla se non la morte, la fragilita della vita rende preziosa la vita degli uomini: "ogni atto che compiono può essere l'ultimo, non c'è volto che non sia sul punto di cancellarsi come il volto di un sogno".
Questo desiderio di immortalità come un semplice prolungamento della vita non soddisfa il nostro desiderio di Vita. Perchè questa vita senza fragilità, senza l'irripetibile unicità dei momenti che non tornerano mai più, ma che danno senso e bellezza alla nostra esistenza, non è degna di essere vissuta.
La temporalità infinita ed uguale, dove non c’e piu nessun cambiamento non soddisfa il nostro desiderio verso l’Assoluto desiderio di felicità, perchè la vita immortale, la vita eterna si transforma in uno Inferno statico e improduttivo un vero simbolo della morte.
L’angoscia prima della morte sale dentro di noi quando incontriamo la morte dell’Altro, perchè l’altro è quello che da significazione a noi Stessi. Possiamo accettare piu facilmente la nostra morte che quella di qualcuno che amiamo. Non possiamo immaginare che quelli che ci sono cari un giorno vadano via per sempre e non rimanga più niente di loro.
Insomma ci sembra senza ragione che la forza che ha potuto dare vita o il senso alla nostra vita possa morire. In questo senso la morte sembra essere un paradosso logico. Potrebbe essere questa una ragione sufficiente per la credenza in un'anima personale, eterna.
Ma se soltanto la nostra anima eterna venuta dal cielo bramasse l’immortalità, come la sua casa, allora l’idea della morte sarebbe facile da sopportare. Ma quando il dolore, la malattia ci ricordano i nostri limiti o qualche piacere dei nostri sensi ci dà il sentimento di onnipotenza e poi svanisce, allora deviene piu doloroso il desiderio dell’immortalità. Così emerge il nostro corpo come quello che desidera l’immortalità. Cioè pare inaccetabile per l’economia dell’Essere che la sensibilità della materia, costruita sulla corporeità, che appare come un livello superiore di esistenza sia solamente un accidente.
E considerando la morte dei nostri cari, l’immortalità della loro anima, la loro transformazione in un angelo non riesce a consolarci. Quando quelli che amiamo muoiono ci manca il loro sguardo, il loro tocco, il loro abbraccio, il loro corporalità e non siamo più tranquilli anche se pensiamo che la loro anima è eterna. Perchè se una volta i loro sguardi, gli abbracci, i sorrisi hanno dato senso alla nostra vita questo significa che loro anima aveva una forza creatrice divina, e come possiamo considerare che questa forza creatrice divina possa scomparire ?
Un'altra speculazione sull’immortalità è la credenzza nella reincarnazzione; la credenza che alla morte ogni creatura si incarni in un altro corpo.
Nella reincarnazione credevano i celti , è una credenza che appare in diversi miti greci, e sicuramente strutturale nel buddhismo e nell’induismo.
Ma quello che resta della nostra vita nell’altra vita e tanto lontana da ciò che da senso alla nostra vita; Dopo che la nostra anima attraversa il fiume Lethe non resta niente di noi, per Homer quello che resta è soltanto un’ombra, nella religione tibetana dell’anima che attraversa i Bardi non resta piu niente di personale.
Il desiderio dell’immortalità è il desiderio di conservare quello che è significativo per la nostra vita, i propri ricordi e i propri sogni, il proprio passato ed il propro futuro.
Una immagine contemporanea e scientifica sull’Immortalità è quella del gene egoista, anche se offre la stessa mancanza di significazione per la nostra vita personale.
Il gene sarebbe “la parte immortale di ogni essere vivente” Gli uomini sono soltanto ustensili per replicare l’informazione genetica. Per questa teoria ciò che sopravvive è il gene. Se l’individuo muore non è importante.
Una altra speculazione genetica sorge dal fatto che una decisione della natura fu quella di scegliere la sessualita invece della riproduzione per divisione. Ma scegliendo ciò la natura rinunciò ad una forma di immortalità, quella dell'infinita replicazione dell'uguale "gene".
E’ tutto come nel poema del Lucifero di Eminesco dove un essere immortale vuole rinunciare al privilegio dell’immortalità per un’ora di amore con una mortale, quasi che l’amore sia un'essenza dotata di una ricchezza e di una importanza tale da rivaleggiare con l’immortalità.
Ma l’amore, il dimenticare il nostro io per una Altra persona, cosa ha di più dell’immortalità, o cosa ha in comune l’amore con il desiderio dell’ immortalità ?

Già per Platone, l’Amore ricorda all'anima la sua Immortalità. L'amore platonico è "delirio divino", trasporto dell'anima, follia e suprema ragione. L'amore è la via che sale per gradi d'estasi verso l'origine unica di tutto ciò che esiste, lontano dai corpi e dalla materia, lontano da ciò che divide e distingue, oltre l'infelicità d'esser se stessi e d'esser due nell'amore stesso. Ma l’Amore è forte a causa della sua fragilita, è ricco a causa della sua poverta, è Amore perchè è una aspirazione che viene da un essere imperfetto che si slancia verso la perfezione
Nel cristianesimo , questo Desiderio incontra il desiderio dell'Altro, il desiderio del Dio . Questo Suo Desiderio ci chiama all'esistenza.
All’inizio c’era il Desiderio. Il Desiderio ha chiamato Dio ed il Desiderio era Dio ; E' il Desiderio che ha chiamato l’Altro n ell’Esistenza e il Suo desiderio che crea lo Stesso continuamente.
Il desiderio è sempre il desiderio di uscire da Se Stesso fino all’Altro, c’e il desiderio di transcendere I propri limiti per trovare la propria giustificazione in un altro sguardo, nell'attenzione dell’Altro. Esisto davvero soltanto quando sono vista, amata e desiderata. Nell’altro caso la mia esistenza non ha nessun senso, nessuna profondità.
Perciò tutti i gran cammini verso la salvezza hanno nel loro centro i desideri e la passione, sia quelli che si basano sulla rinuncia ai desideri sia quelli vissuti nella loro pienezza. Lo vediamo seguito.
La cultura europea/Occidentale e la cultura Orientale hanno attitudini divergenti verso il desiderio. Ma in entrambi il Desiderio, Le nostre attitudini verso I nostri desideri reppresentano la chiave metafisica della salvezza.
Il mondo è una illusione, dice la religione induista, è una illusione perchè è passeggera, è temporale. Il tempo annebbia e distrugge tutto, ed al di la del divenire, al di la dell'affascinamento continuo non c’e che il Niente Eterno nel cui sogno c'è Il Mondo. Anche la nostra Identità è solo un punto di coagulo della corrente della vita che dura solo quanto una vita umana, neanche un attimo dal punto di vista dell’eternità. Il mondo non è che il sogno di Nonessere. Ma noi crediamo che è reale, anzi eterno, ci attacchiamo agli altri, ai nostri ricordi, ai nostri sogni, alla nostra temporalità, e poi soffriamo. E questo mondo illusorio si regenera a causa dei nostri desideri e delle nostre sofferenze. L’uomo a causa dell'intelletto non purificato considera il suo Sé Assoluto come l'autore delle azioni . Ma lui e solo lo strumento d'azione, è pieno d'attaccamento, pieno di desiderio per i frutti dell'azione. Dobbiamo agire abbandonando l'attacamento (ad esse) e il desiderio per i frutti delle nostre azioni, dobbiamo rinunciare a tutte le azioni fatte con desiderio o almeno ai frutti delle azioni dice BhagavadGita.
Nell’ascetismo, nella rinuncia ai desideri riconosciamo il carattere illusorio del mondo, riusciamo ad uscire dal velo di Illusione cosmica di Maya e usciamo dall’Ignoranza e siamo liberi. I desideri sono ostacoli nel nostro cammino fino alla liberta, fino all’assoluto fino al Nirvana Eterno "del Niente" la sola eternità è quella del Nonessere.
Ma al contrario L’Occidente elogia la sofferenza, il sacrificio massimo per quello che amiamo. Se non soffri per quello che ami non lo ami davvero. E come nel mito di "Amore e Psiche" Il completamento, la pienezza la realiziamo tra gli ostacoli che si frapongono nel nostro cammino fino all'Altro e perfino la conoscenza è possibile realizzarla solo come percorso iniziatico che deve prima essere capace di impregnarsi dei sentimenti "amore" e lo stesso sentimento "amore" non è possibile senza sofferenza.
Un mito che quasi si ripete anche nel simbolo cristiano della croce che è anch'esso una apologia di questo cammino nella soffrenza causata da Amore. Solo attraverso il sacrificio massimo per quelli che amiamo si può raggiungere la salvezza solo questo sacrificio può cambiare il mondo.
E questa coppia tra sofferenza e amore è per l’Occidente essenziale, ed è il cammino preferito per conoscere la vita e la Verita . Questo tipo di amore Occidentale fu criticata perchè Quello che amiamo è piu l”Amore" che L’Altro. E' una forma di Amore per l”Assoluto" non per una persona che può restare sconosciuta per noi anche accanto a noi. Ecco perchè l’amore romantico non resiste al tempo, perché amiamo piu l’essenza immortale dell'anima umana che ci appare un momento nella persona amata che la persona in se.
Eros introduce nella vita qualcosa di affatto estraneo ai ritmi dell'attrazione sessuale: un desiderio che non si estingue più, che più nulla può soddisfare, che respinge e fugge persino la tentazione di realizzarsi nel mondo, perché non vuol abbracciare che il Tutto. E' il superamento infnito, l'ascensione dell'uomo verso il suo dio. Ed è un movimento senza ritorno.
Nel momento di innamoramento l’Altro è visto comme un specchio dell’Immortalità, anche se il tempo quotidiano cambia questo sentimento.) Abbiamo bisogno dello specchio dell'Altro per capire Noi stessi e la nostra esistenza.
Il desiderio è il desiderio del desiderio dell’altro. E quando l’altro voglia la mia esistenza, quando vede se stesso in me, capisce se stesso e si riconosce in me allora io divengo un essere reale unico.
Il desiderio metafisico di esistenza è il desiderio dell'Altro, e ciò è un desiderio di immortalità.
Per questo ciascuno cerca il senso e la giustificazione dalla propria essistenza nello sguardo e nel desiderio di una Esteriorità (uomo o Dio)
Ciascun desiderio apre un futuro, un mondo possibile. La forza dei questi desideri fa continuare il ciclo della vita e della sofferenza -la Samsara dalla quale dobiamo uscire.
Nella filosofia Occidentale (a Leibniz e Heidegger sicuramente) la tautologia della realtà fa nascere il rimpiantoper le mondi posibili e anzi fa nascere il sentimento di colpa. Per Heidegger questo sentimento colpa deriva dal fatto che scegliendo una possibilità perdiamo in quel momento tutte le altre. E' un peccato collegato alla nostra temporalità e questa rivelazione conduce a l’Angoscia.
Quando cerco l’immortalità voglio il significato delle tutte le mie vite possibili tutti I mondi possibili che sono apparsi talvolta nel Pensiero Divino, e anche di tutti quei mondi dei quali resta solo il rimpianto che non esistono più. e non soltanto la migliore. Perchè la mia Verità non puo essere Unica e Uguale. La mia Verità non puo essere che globale, panoptica e diversa. Una verita debole e viva. Il desiderio ne sfrangia il profilo in un’irresolubile diffrazione, ne disperde il nocciolo in un gioco di specchi.
Davvero tutta la epoca leibniziana vive sta tensione tra essere uno o plurale. Proprio il barocco è, infatti, quello stile, quell’epoca, quell’atmosfera di pensiero e d’esperienza entro cui qualcosa come la novecentesca alterità dell’io o la contemporanea disidentificazione delle identità sono state non solo intuite, ma coerentemente perseguite e radicalmente attuate in filosofia come in musica, in architettura come in diplomazia o in amore .
L'Eros è il Desiderio totale, è l'Aspirazione luminosa, che è l'estrema esigenza di Unità. Ma l'unità ultima è negazione dell'essere attuale, nella sua sofferente molteplicità. Il desiderio è, un’istanza plurale, mobile, capace di essere ogni volta di nuovo e interamente se stessa senza necessità di rifarsi ad origini, paradigmi, archetipi la cui fondatività è in effetti tale sempre .
Il desiderio dell'immortalità è un desiderio di Assoluto, di uscire dal tempo, di vivere tutte le vite possibili nello stesso luogo e nello stesso momento come nell’immagine di El Alef della novella di Borges.
L’Aleph e […] il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli…”
Il diametro dell’Aleph sarà stato di due o tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse. Ogni cosa (il cristallo dello specchio, ad esempio) era infinite cose, perché io la vedevo distintamente da ogni punto dell’universo. Vidi il popoloso mare, vidi l’alba e la sera, vidi le moltitudini d’America, vidi un’argentea ragnatela al centro di una nera piramide, vidi un labirinto spezzato (era Londra), vidi infiniti occhi che si fissavano in me come in uno specchio, vidi tutti gli specchi del pianeta e nessuno mi rifletté…”
La pratica del desiderio e l’ esperienza del limite del pensiero e della materia; il concatenamento tra le tutte le esistenze tra tutti i mondi possibili., l'unità minima di un reale che si dà sempre nella molteplicità; la macchina desiderante, motore immanente che percorre il piano tracciato dal desiderio disegnando nuove forme di essere se stesso e un altro diverso.
C’e forse qualcosa nello sguardo e nel desiderio dell’Altro, qualcosa che ci permette di ricordarci, di ricordare il nostro stadio originario, o di ricordarci della nostra esistenza immortale al di la del tempo.
Un simile sguardo di amore è una sospensione dell’attimo, una paradossale eternità dell’attimo del quale resterà solo un ricordo ma che forse da veramente senso alla nostra vita.
L'incontro degli sguardi innamorati è un incontro mistico nel quale l’attimo si ferma. L’Amore apre cosi l’Eternità attraverso l'attimo. Nella vita di un uomo sono rari tali momenti e allora possiamo credere che abbiamo trovato una fessura nello spazio/tempo. Un tipo di immortalità è quello dell’attimo pieno e completo il picco assoluto che condensa in se , multum in parvo, tutto l’universo come spazio, tempo, come possibilità, dove la tendenza infinitesimale è speculare all’infinitamente grande, l’unicità individuale che come tale è nulla si realizza in maniera speculare come rappresentazione del cosmo. L’Aleph, il punto di sospensione dell’attimo è in noi, in noi sono cieli infiniti quelli che si aprono nell’incontro di sguardi che si amano.
L’hermeneutica del desiderio dell’immortalità ci ha allontanato dalla concezione temporale infinita della vita. Invece ci ha condotto a momenti di pienezza significanta dalla nostra vita, alla ricerca dell’attimo assoluto di vita tanto pieno da meritare di essere fermato in eterno, nel centro del problema metafisico tra le categorie di temporalità panoptica, e dei mondi possibili mostrando l’importanza dello sguardo dell’altro come principio di autocomprehensione e di più come principio di esistenza.

BIBLIOGRAFIA

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