giovedì 12 settembre 2013

Perché l'ermeneutica (2004)



Io e l’ermeneutica

Vorrei accennare alcuni eventi significativi che hanno formato il mio interesse verso l’ermeneutica e le filosofie, le letture che hanno influito il mio pensiero.
   Fin da piccola soprattutto il cielo stellato era quello che mi riempiva il cuore di fascino e meraviglia. Sognavo di diventare astronauta, volare avanti e indietro nel tempo, vedere la nascita dell’universo, la formazione delle galassie, delle stelle, della Terra, della vita e dell’uomo. Leggevo libri scientifici di divulgazione e consideravo la scienza il solo metodo per conoscere la verità, perché le scoperte scientifiche mi creavano meraviglia. Nello stesso tempo mi piaceva leggere sulle diverse credenze stellari e nel destino dai babilonesi, a Pitagora, da Platone agli arabi.
    Nella seconda superiore avevo un professore eccellente di scienze socio umane, Muresan Cornel che invece di spiegarci il testo dei congressi di Ceausescu come doveva fare ci raccontava a bassa voce la storia delle religioni.
   Purtroppo in quel tempo non ho trovato nelle biblioteche nessun libro
per approfondire l’argomento del sciamanesimo per esempio; Ma leggendo la teoria di Daniken, ho chiesto il parere del mio professore su questa teoria. Più o meno cosi mi ha risposto: Quando si tratta di antiche culture di cui sono rimaste poche tracce l'uomo può progettare gli eventi della sua cultura, del suo orizzonte storico in quell’altra cultura, e siccome Daniken vive nel secolo della conquista spaziale vede nave cosmiche, radioattività ed extraterrestri.
    Infatti, ho pensato che se fossi vissuta nel tardo medioevo avrei voluto studiare l’astromedicina e non l’astronomia, magari a Granada per conoscere anche ciò che dicevano i medici e filosofi arabi o la Cabbala giudaica. Ho capito nella sua risposta che un’idea fondamentale dell’ermeneutica filosofica è che ci troviamo sempre già in una forma di precomprensione del mondo. Nella storia, nell’arte, nella religione non possiamo mai parlare della conoscenza certa, ma solo delle interpretazioni, e in queste interpretazioni dobbiamo essere coscienti della nostra coscienza storica, dei nostri pre-giudizzi culturali.
    Sul problema della conoscenza storica sono tornata nel primo anno universitario nel corso di Storia della cultura e civiltà, nella mia relazione seminariale sul monoteismo e sul politeismo, dove seguendo Leo Oppenheim evidenziavo l’impossibilità di conoscere l’esperienza religiosa originaria perché i segni rimasti di una cultura permettono interpretazioni diverse, interpretazione in cui sempre sarà presente il pre-giudizio culturale dell’interpretante. Poi nella Filosofia della storia ho approfondito la comprensione storica di Dilthey.
    Cercando le fonti di ispirazione di Daniken dalla storia delle culture amerinde ho trovato con vergogna di appartenere alla cultura europea il genocidio che abbiamo fatto in Sud America. Mi è piaciuto l’interpretazione di Tzvetan Todorov che fa della Conquista dell’America una storia esemplare di un scontro dove sono uno dopo l’altro malinterpretati le intenzioni comunicativi dell’Altro. Penso che una delle emergenze della cultura postmoderna è la comunicazione interculturale, la difficile relazione con Altro. L’ermeneutica e la fenomenologia sono quei metodi che lasciano sentire la voce dell’Altro.
     Solo dopo due anni di aver compiuto i studi liceali sentii finalmente con sicurezza che il mio interesse fondamentale era la filosofia. Mi sono preparata un anno cercando tutta la bibliografia trovabile nelle biblioteche della mia città. Volevo leggere di tutti i filosofi importanti almeno dei frammenti delle loro opere fondamentali. Allora ho letto per la prima volta Gadamer (in traduzione ungherese), mi piaceva molto la Fenomenologia dello spirito di Hegel, ma l’esistenzialismo è stato ciò che veramente mi ha colpito e ho trovato che solo in maniera estetizzante, guardando la vita come un gioco, dove solo il bello ci salva, si può sopravvivere alla tragicità dell’esistenza. Forse per quello mi é piaciuto molto il pensiero di Nietzsche, la vita é il desiderio di illudersi.

      Vorrei aggiungere alcune parole sulla mia religiosità, che volens nolens sarà implicito in un’analisi dell’ermeneutica dell’esperienza religiosa. Mi sono avvicinata del soprannaturale sotto l’influenza della mitologia greca dove gli dei puniscono la superbia, la troppo grande felicità, la Madre Dea, di cui parla Eliade, che dà vita e che distrugge senza nessuna pietà i suoi figli. Infatti la cosa che io sento più vicina al soprannaturale sono i fenomeni estremi, le tempeste, i fulmini, i terremoti, gli incidenti mortali improvvisi l’esperienza psicotica. Nelle letture bibliche ciò che mi ha sempre colpito é stato il Dio tremendo, quello che manda zolfo e lapilli su Sodoma e Gomorra, che colpisce Giobbe per scherzo e poi si lava i mani perché lui ha troppi impegni, il Dio dell’Eclesiaste che nega qualsiasi Giustizia umana, un Dio che é insieme imperscrutabile, inconoscibile, e tremendo. La lettura di Kierkegaard e di DD.Rosca –L’esistenza tragica l’ho trovato molto vicina al mio sentire. Inoltre la fenomenologia dell’esperienza del sacro di Rudolf Otto mi ha confermato l’idea che riconosciamo l’esperienza religiosa dopo il complesso sentimento di Fascinans, del Misterium Tremenum ed dell’Energia come forza eccessiva.
     Il prof. Aurel Codoban mio conduttore della tesi di laurea e studi approfonditi, era non a caso anche il professore di semiologia. A lui devo il modo in cui io mi sono avvicinato all’ermeneutica, potrei quasi dire che lui mi ha aperto gli occhi sulla esistenza di una razionalità significante oltre quella operazionale, che i significati creano il nostro mondo e in fondo il nostro modo di pensare è simbolico, che la metafora e la metonimia hanno il fondamento nella costruzione del nostro cervello.
E sempre lui ci ha insegnato la filosofia delle religioni. Secondo lui la filosofia è una religione, nata come esegesi alla religione greca antica e poi della Bibbia e interpretava la religione, come fenomenologia del Sacro, nel senso di Rudolf Otto ma il sacro e sempre nascosto nel profano come in Eliade analizzando le religiosità e il politeismo postmoderno.
   Nello stesso anno ho fatto, il corso opzionale di teorie contemporanee dell’arte dove ho scelto di fare la relazione semestrale su: Gioco e sacro nell’arte. in questa relazione ho approfondito la teoria del gioco nell’arte di Gadamer e l’ontologia dell’opera dell’arte di Heidegger.
   Sempre il prof. Codoban teneva anche il corso di ermeneutica e l’ermeneutica del amore. Può essere che anche per questo trovo l’ermeneutica dell’esperienza religiosa nel senso più largo, l’ermeneutica del esperienza dell’irrazionale i più incitanti problemi di filosofia, che permettono di raccogliere meglio di altri metodi i significati della profondità umana.
   Infatti seguendo soprattutto il pensiero di Paul Ricoeur, sulla cui teoria dell’interpretazione ho scritto la tesi di studi approfonditi, intendo l’ermeneutica della religione come l’incontro della fenomenologia del sacro con la psicanalisi (junghiana più che freudiana).
   Dopo la lettura di Jung qualcosa è cambiato nel mondo, per me fu come una rivelazione. Perché lui analizzava un problema che m’interessava da sempre: il collegamento dell’esperienza dell’estasi religiosa e dell’esperienza psicotica. Il metodo di ricerca é quello di analizzare le somiglianze tra le esperienze religiose profetiche e sciamaniche, con le esperienze psicotiche per scoprire un fondo comune tra le rappresentazioni numinose e l’inconscio collettivo dell’umanità. Non solo Jung ma tutta la scuola junghiana, con Marie Louis von Franz e le analisi delle favole della individuazione femminile ma anche la teoria di Melanie Klein sull’immaginario mostruoso dei bambini o sulla teoria del ruolo dell’arte in Bion.


Interesi di ricerca:
1. L’estasi religiosa e la follia. Il senso della follia da punto di vista dell’analitica esistenziale e della psicoanalisi della profondità, la follia come esperienza del sacro e non solo.
Personalmente mi interessa individuare dei punti di riferimento per analizzare il senso del delirio come esperienza del male, e fase propedeutica sia dell’esperienza religiosa che della conoscenza, inoltre sarei interessata ad analizzare l’esperienza della metamorfosi come esperienza di mancanza dell’identità ed anche essa fase propedeutica dell’individuazione; Analizzare gli elementi essenziali in questa esperienza, partendo appunto dal significato di mancanza o di perdita della realtà e analizzare a quel punto come viene a crearsi o a trasformarsi il significato della realtà. Analizzare quali sono gli elementi che permettono una comunicazione, cosa può definire una realtà comune per la comunicazione con l’altro.
Una interpretazione dell’altro visto dal punto di vista del suo Esserci vissuto come straniero, come essere che non è, il soggetto la cui familiarità con il mondo l’in der welt sein svanisce. Ed in tale ambito mi piacerebbe individuare i termini teorici in che maniera è collegabile il folle ed i suoi sogni e lo sciamano e le sue visioni alla vita dei “normali” che hanno bisogno di questi sogni, di queste visioni, che spesso formano le mitologie e l’arte sacra in cui si riconosce un popolo. Mi piacerebbe approfondire l’interpretazione di questa esperienza, seguendo anche la linea dell’angoscia nell’esistenzialismo o del tremendum in Rudolf Otto come fondamentali per l’esperienza religiosa. Mi piacerebbe analizzare il senso della follia nel senso di paura della perdita d’identità, sia nella cultura della colpa nella Grecia classica, sia nel medievo romanico dei bestiari e anche nella psicoanalisi delle profondità.

2. Il pensiero simbolico tardomedioevale, dal simbolismo universale alla pansemiosi metafisica, attraverso l’iconologia dell’arte romanico gotica e i metodi interpretativi attraverso le enciclopedie medioevali e le prime letterature, l’astromedicina dei bestiari, il simbolo religioso del mostruoso, o l’elemento monstruoso della esperienza religiosa medioevale, vista sia come il misterium tremendum sia come paura di diventare bestie. L’immagine di se dell’uomo medioevale. La vicinanza all’al di la.

3. La mitologia, il pensiero mitico. Il fantastico. Couliano diceva che la fantascienza é ormai il solo modo di fare metafisica. Il fantastico ha la capacità di mettere le domande fondamentali della filosofia perché usa il linguaggio simbolico, figurato perché é uno sguardo esterno alla realtà. Nella fantascienza manca l’intenzione di far finta della realtà, richiede una comprensione diversa, ci propone un mondo come se fosse e cambia la prospettiva della realtà, cambia la nostra percezione della vita. In fondo questo è il ruolo del arte. Il ruolo dell’immaginario nella costruzione di se. Il se si conosce solo come l’altro e per ritrovare se stesso deve percorrere i testi finzionali (fictional) della cultura, scrive Ricoeur. Nella mia tesi di Studi approfonditi ho analizzato il statuto della finzione in Umberto Eco, Thomas Pavel, Paul Ricoeur, e Maurice Blanchot ma anche l’uomo immaginario di Edgar Morin e nel doppio da Otto Rank. Uno degli metodi grazie a cui si realizza l’immedesimazione é il gioco da parte dell’autore con il tempo.

4. Il problema dell’Altro in Emanuel Levinas e in Martin Bubber . Considero che il problema dell’Altro è la problema della filosofia pratica la più stringente della nostra cultura. Levinas e Bubber appartengono alla tradizione ebraica e io vorrei sapere partendo appunto dalla loro concezione anche i collegamenti tra il divieto di rappresentazioni del Dio e l’immagine di Se e dell’Altro, seguendo in parallelo le immagini del Sacro di se e del Divino nell’arte religiosa. L’esperienza religiosa e l’incontro con l’altro. Monoteismo e politeismo nello specchio della relazione con l’altro.

 

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