domenica 12 gennaio 2025

 Teszler Lucia

RUMI’s World , the Life and Work of the great Sufi Poet di Annemarie Schimmel

Rumi è uno dei più importanti personaggi della mistica sufi medievale, onorato ancora oggi, non solo in Turchia, dove è morto, ma in tutto il mondo. In Europa Occidentale i suoi versi sono arrivati grazie alle traduzioni degli orientalisti tedeschi e inglesi dell'Ottocento. In Italia fu tradotto prima da Italo Pizzi (1894), poi da Alessandro Bausani (1980) e in seguito sono state pubblicate anche altre collezioni delle sue poesie prese dal Diwan. La traduzione completa della sua opera magna, il Mathnavi, la dobbiamo a Gabriel Mandel Khan, che offre una traduzione fedele alla lettera dell'opera e, nell'introduzione, spiega il senso spirituale delle tappe della danza sacra che caratterizza questa tariqa sufi, il Sama.

Atatürk vietò il Sama e chiuse le tariqa in Turchia, nel tentativo di soddisfare le potenze europee, che all'epoca consideravano la religione una fase da superare nello sviluppo della società. Tuttavia, nel 1954 a Konya, il Sama riprese, e gli strumenti musicali, ben nascosti fino ad allora, ricomparvero. Questo momento di risveglio rappresenta il punto di avvio del libro che intendo recensire.

Annemarie Schimmel è stata una delle più importanti studiose di mistica islamica e ha dedicato a Rumi almeno tre libri. Due di questi libri sono stati pubblicati con lo stesso titolo, nonostante siano libri diversi. Probabilmente all'autrice piaceva tanto questo verso di Rumi. Entrambi i libri presentano Rumi, la sua concezione di Dio, dell'uomo e della vita, ma non sono lo stesso libro. Il primo fu pubblicato in tedesco con il titolo Ich bin Wind, du bist Feuer. Quando uscì il libro I am Wind, You are Fire, si pensava fosse lo stesso libro. Per evitare il malinteso, nella seconda edizione questa opera porta il titolo Rumi's World: The Life and Work of the Great Sufi Poet. Io parlerò qui di questo libro che quindi apparve prima volta col titolo I am Wind you are Fire.

Il verso da cui è tratto il titolo proviene da una poesia di Rumi inclusa nel Divan per Shams-e Tabrizi:

من چو بادم تو چو آتش من تو را انگیختم              (Io sono il vento, tu sei la fiamma, io ti faccio danzare)

Precedentemente, prima che l'amore pronunciasse questa frase, il poeta racconta come divenne poeta mescolando il veleno con la cura, trovando la cura al veleno, al dolore, mescolando l'acido con lo zucchero. L'amore gli dice: "D'accordo, ma non pensare che tutto ciò provenga da te stesso. Sono io il vento (inteso come respiro, soffio, spirito) e tu sei la mia fiamma (in tutti i sensi concreti e metaforici). È lo spirito dell'amore che fa danzare la fiamma, è lui che lo muove e lo rende bello."

Annemarie Schimmel, professoressa di teologia islamica ad Ankara, ci descrive l'emozione del momento in cui, dopo 29 anni di divieto imposto dalle leggi di Ataturk, i dervisci rotanti poterono nuovamente eseguire il rito del Sama, addirittura nella moschea Yesil Turbe di Konya. Ataturk chiuse gli ordini religiosi e trasformò la casa dei dervisci in un museo; tuttavia, la gente continuava a visitare il museo come se fosse un pellegrinaggio. Il museo esiste ancora oggi. Il libro Rumi's World si apre e si chiude con riferimento a questo grande evento, rappresentando di fatto l'occasione per la sua scrittura.

Nell’introduzione l'autrice ci porta in viaggio come un pellegrinaggio da Ankara a Konya, al mausoleo di Rumi. Le diverse tappe del lento viaggio (il lago salato, i monti di origine vulcanica, il caravanserraglio di origine selgiuchide, il cimitero all'entrata di Konya, una moschea con un bel mihrab, una madrassa dei tempi di Mevlana) sono intese come tappe della via spirituale verso Konya, per incontrare Rumi ed entrare nel suo mondo. Il libro si chiude con un capitolo dedicato alla musica e alla danza estatica rituale (Sama), ricordando l'evento di dicembre del 1954, quando per la prima volta furono celebrate le nozze celesti di Rumi a Konya, un evento che da allora viene commemorato ogni anno nel mese di dicembre. Le nozze sacre si riferiscono alla morte di Rumi, che egli stesso descriveva non come un momento di tristezza ma come un'unione mistica con il Grande Amato.

 Nel secondo capitolo accompagniamo Rumi e la sua famiglia nel viaggio dall’Asia Centrale verso Konya, scoprendo le inclinazioni mistiche di suo padre e le cause della loro partenza. Il re di Corasmia uccise alcuni mercanti e ambasciatori mongoli, scatenando così l’ira dei Mongoli. Di conseguenza, la famiglia di Rumi si spostò dapprima a Samarcanda e poi decise di compiere il pellegrinaggio alla Mecca. Per un periodo si stabilirono a Damasco e ad Aleppo, dove Rumi proseguì i suoi studi, prima di trasferirsi a Laranda, nel Karaman, al centro dell’Anatolia. A Laranda morirono la madre di Rumi e altri membri della famiglia. Qui Rumi si sposò e nacque il suo primo figlio. La crescita dei suoi tre figli è descritta nelle sue poesie, dove egli li vede come manifestazioni del divino, nuovi fiori germogliati nel giardino dell’esistenza. Infine, la famiglia si trasferì nella capitale del regno selgiuchide, a Konya, dove il padre di Rumi insegnò per cinque anni. Alla morte del padre, Rumi proseguì l’attività di insegnamento nella scuola, affiancato da un amico del padre che lo guidò nella sua formazione. Fu grazie a lui che Rumi studiò Sanai (m. 1131), poeta mistico e primo autore di un Mathnavi. Sanai descrisse in modo allegorico il viaggio dell’anima verso Dio, diventando per Rumi un modello di maestro spirituale. Rumi approfondì ulteriormente i suoi studi a Damasco, dove entrò in contatto con i discepoli di Ibn Arabi e la loro dottrina del wahdat al-wujud (unità dell’essere). Tuttavia, la teologia di Rumi si sviluppò in una direzione più incentrata sulla ‘ragione del cuore’ che sull’intelletto razionale.

Ma quando avviene il grande cambiamento nella vita di Rumi?
Rumi era un rispettato giurista e teologo a Konya quando un giorno incontra un sufi errante, Shams di Tabriz, che con intransigenza gli mostra la vacuità della conoscenza livresca se non è accompagnata dalla conoscenza attraverso il cuore. Questo evento travolge la vita di Rumi, risvegliando il poeta che era assopito dentro di lui. Il suo viaggio interiore verso l'amore divino e la poesia mistica iniziò solo dopo questo incontro. Si può dire che Shams abbia aiutato Rumi a trascendere il mondo della mente per entrare nel mondo del cuore. Il fascino esercitato da Shams su Rumi fu tale che egli firma le sue poesie con il nome di Shams e chiama la sua raccolta di versi Divan-e Shams-e Tabrizi.

Annemarie Schimmel si meraviglia del fatto che Rumi non faccia alcun accenno ad Al-Ghazali nelle sue opere, nonostante l'importanza del pensatore e del suo influsso sul sufismo. Al-Ghazali, nella sua opera principale La Revivificazione delle scienze religiose (Ihya' 'Ulum al-Din), spiega come la teologia e la filosofia, pur essendo importanti, siano strade cieche; solo la via del cuore e dell'amore consente di conoscere davvero Dio. A partire da questa osservazione, è interessante riflettere anche sul contributo di Ahmad al-Ghazali, il fratello minore. Lui pensa che l’amore divino è il principio più elevato e il motore di ogni trasformazione spirituale, inoltre il rapporto tra l’amante (il sufi) e l’Amato (Dio) è centrale nelle sue  riflessioni sull'amore divino raccolte nel Savaneh. Queste idee potrebbero aver influenzato indirettamente il pensiero mistico di Rumi.

Per Rumi l’intero mondo è una ierofania divina. Nei dintorni di Konya, specialmente in primavera, Annemarie Schimmel trova spunti per spiegarci la poesia e il pensiero di Rumi. La primavera, con il ritorno della potenza del sole, il disgelo e il risveglio della vita, diventa per il poeta l’espressione della gloria divina. Attraverso l’analogia con la primavera, comprendiamo la trasfigurazione che avviene quando Dio si fa manifesto: ogni fiore e ogni uccello migratore lodano l’Onnipotente. Il giglio sguaina la sua spada vincitrice contro la morte, la violetta si prostra in adorazione, mentre la cicogna ritorna dal suo pellegrinaggio annuale alla Mecca, come a compiere il suo rito di devozione. Tuttavia, l’inverno non è un simbolo di male, poiché ogni stagione e ogni cosa in natura sono manifestazioni della volontà di Dio. L’inverno rappresenta il periodo di raccoglimento, di ritiro e accumulo di forze, necessario per sconfiggere il gelo e rinascere con la primavera. Chi non sopravvive al gelo dell’inverno non potrà vivere la rinascita della primavera.

In seguito l'opera esplora la concezione di Dio e il compito dell’uomo secondo Rumi, la centralità della preghiera e l’importanza dell’amore.

Dio, secondo un celebre hadith, è il tesoro nascosto che volle farsi conoscere; perciò creò il mondo e si manifesta continuamente in esso. Seguendo la tradizione musulmana, Dio ha molti nomi, ma nessuno di questi lo definisce completamente, poiché ogni determinazione sarebbe una limitazione. Egli è il Dio vivente che si manifesta in ogni cosa.

La poesia di Rumi è un pellegrinaggio attorno all’idea del Divino. Dio è l’architetto e il tessitore del mondo: i colori e le forme del creato accennano tutti a lui. Tuttavia, Dio è anche il creatore della legge nascosta che organizza tutto. Anche quando manifesta il suo volto d’ira, Dio distrugge per costruire qualcosa di migliore: fa soffrire la fame per donare sazietà, e fa sentire la sete per far apprezzare l’acqua. La sua clemenza è nascosta nella sua ira. Egli è una coincidentia oppositorum, in cui si manifestano insieme la Grazia (jamal) e l’Ira (jalal), ciò che Rudolf Otto definisce come fascinans et tremendum. La differenziazione e la divisione sono proprie del creato, ma in Dio gli opposti coesistono, perché nulla può esistere senza il proprio contrario. Per questo Annemarie Schimmel paragona Rumi ad altre tradizioni sapienziali, come la filosofia dello yin-yang cinese o il pensiero di Meister Eckhart. Sostenere la sapienza divina in un’epoca segnata da distruzioni e instabilità, come quella in cui visse Rumi – anche lui costretto a lasciare la sua terra come profugo – richiedeva una comprensione più profonda del disegno divino. Rumi risponde a questo smarrimento con la potente immagine del 'filo bicolore', che rappresenta l’intreccio di gioia e dolore, amore e ira, luce e oscurità nel tessuto della vita. Dio è descritto come un tessitore divino che intreccia questi fili contrastanti per creare un’opera perfetta. Sebbene agli occhi umani questo disegno possa sembrare frammentario o contraddittorio, nella prospettiva divina ogni colore, anche il più cupo, contribuisce alla bellezza dell’insieme. Rumi ci insegna che anche le esperienze di distruzione e sofferenza, come quelle che caratterizzarono il suo tempo, sono parte di un piano più grande, che guida le creature verso l’unione con Dio. Nei periodi più travagliati dalla guerra, Dio si rivela attraverso la voce dei poeti, che, pur tra le rovine, continuano a parlare dell'amore. Questo amore diventa una manifestazione trascendente, un messaggio che proviene dall'anima collettiva, pronta a risvegliare i valori soppressi e dimenticati

Il neoplatonismo di Rumi si rivela nella differenza tra adam, che rappresenta la potenzialità informe e priva di vitalità ma capace di diventare qualsiasi cosa, e kibiriyya, la potenza che forma e trasforma. Per Rumi, Dio è come un oceano, mentre noi siamo schizzi d’acqua o onde: per un attimo sembriamo differenziarci, ma poi ritorniamo, o meglio, desideriamo tornare, nell’oceano divino, ricollegarci con l’unità divina. Per Rumi, la preghiera resta fondamentale, vissuta con intensità come brama verso Dio, come il lamento del ney che vive il dolore della separazione e per questo esprime bene il dolore dell’uomo che vive lontano dall’Amato. Come in molti poeti persiani, la brama per la persona amata e quella verso Dio sembrano confondersi. Il reale amato, irraggiungibile, è Dio. Annemarie Schimmel, sottolinea come Rumi descriva la preghiera non solo come un atto formale o rituale, ma come un’intima esperienza del cuore, un desiderio ardente di unione con Dio, una via per raggiungere un'illuminazione che trascende ogni separazione tra l'umano e il divino, dove studiosi delle religioni riconoscono il modello di oratio infusa, chi prega lo fa perché è Dio a pregare in lui.

Quando Dio offrì la fiducia (amana) alla creazione, le montagne e i cieli la rifiutarono, consapevoli della responsabilità immensa che comportava. L’uomo, forse senza comprenderne appieno il significato, accettò. Per questo motivo, solo lui conosce i nomi che Dio diede a ogni creatura, ed è dotato del dono del libero arbitrio e della responsabilità. L’uomo è come un asino con ali d’angelo: un’immagine che non manca di ironia, ma che esprime bene la dualità umana. L’uomo è un essere anfibio: appartiene a due mondi, il materiale e lo spirituale. Per Rumi, l’asino simboleggia l’ignoranza e l’attaccamento alla materialità.  L’uomo, pur con tutti i suoi limiti, ha anche ali d’angelo, che gli consentono di aspirare alla spiritualità e di elevarsi verso il divino. A differenza di un asino o di un angelo, può scegliere il proprio percorso nonostante sutto sia scritto nel grande libro di Dio. Ma dobbiamo avere la consapevolezza del essere chicci di grano che vogliono salire le tappe spirituali, senza questo sentimento creaturale, l’annullamento del proprio Ego non si può andare avanti.

Un’altra domanda su cui l’autrice si sofferma è „come si concilia il libero arbitrio con il fatto che tutto sia scritto sulle tavole divine?” Per Rumi, questa apparente contraddizione si risolve comprendendo l’unità e l’organicità del mondo. Il mondo è come una grande tenda che tutti noi contribuiamo a costruire seguendo il nostro dovere. Ogni atto responsabile abbellisce la tenda di Dio e glorifica il suo nome. Ogni lavoro fatto bene è fatto per Dio, anche quello dei politici, a condizione che agiscano con responsabilità e giustizia.

Rumi, padre di tre figli, era profondamente ammirato dal segreto della nascita, dalla differenziazione del feto nel grembo materno e dal bisogno, tanto dell’anima quanto del corpo, di crescere. Egli osserva come il feto, ancora nel grembo, non possa immaginare il mondo esterno, proprio come noi non possiamo immaginare il mondo che si trova oltre la materia. Rumi paragona la madre al nafs, l’anima inferiore, quella fisiologica, che cerca conforto e piacere. Il padre, invece, rappresenta lo stimolo alla crescita, allo studio e al miglioramento delle proprie capacità. Per lui, l’educazione è come una cottura lenta: non è un processo rapido, ma richiede pazienza e perseveranza. Un motivo per cui Rumi sostiene la vita matrimoniale è che il matrimonio insegna la pazienza. Nell’amore, i metalli si trasformano in oro e i demoni in angeli. Nessun genitore, coniuge o figlio dovrebbe mai dubitare che la perseveranza nell’amore porti benefici e trasformazioni. Per Rumi, lo scopo della vita umana è diventare realmente uomini. Non tutti coloro che hanno un volto umano possono essere considerati tali, ma tutti possono diventarlo. Diventare uomini significa crescere attraverso la sofferenza, e in particolare attraverso la sofferenza per amore.

Come accennato, il libro si conclude con il capitolo dedicato alla danza estatica, così caratteristica della tariqa di Mevlana. Sebbene la danza come pratica spirituale per raggiungere l’estasi mistica esistesse nel sufismo prima di Rumi, fu perfezionata e formalizzata da Lui nella sua tariqa. È probabile che alcuni versi di Rumi venissero cantati, suonati e accompagnati dalla danza. La danza era spesso accompagnata da strumenti musicali come il ney (il flauto di canna), il riqq (tamburello) e la tambura (strumento a corda). Il ney, in particolare, è lo strumento che rivela il segreto del brama e dell’amore; per suonare dolcemente, il ney deve essere vuoto, diventando così uno strumento che permette di percepire lo spirito divino. Tuttavia, sotto la penna di Rumi, qualsiasi strumento può diventare un simbolo dell’anima inamorata di Dio. Inoltre, la danza è una via estatica, una fuoriuscita dal mondo imperfetto della gravità verso una forma di armonia perfetta anche nei riti dionisiaci e nelle danze del sole dei nativi americani. Nel Sama, i dervisci reiterano il movimento degli atomi, dei pianeti e di tutto il creato attorno al centro dell’esistenza, l’unico che li rende viventi