LA MORTE E LA RELIGIONE IN C.G.JUNG
Teszler Lucia Angela
(originally in Proceedings of Conference on Metaphisics in Third Millenium (pag.199-215)
http://metaphysics2009.org/index.php?option=com_docman&task=doc_view&gid=212&Itemid=37&lang=en
In a traditionalsociety, death means the ful filment of life. Life does not disappear through death,
on contrary, the conscience of death makes life worthly of being lived and seen as a duty, as process
of perfecting.
For Freud,the need to believe, the principle of any religion is the fear of death, both the fear of
the end of his own life, and the terror of the terrible power of dead. For Jung, thingsa are
different: religion, the religious feeling is a gift, human being is born whit it in soul and it is
connected to the capacity to marvel and it is expressed – aware of it or not- through symbolical
activity.
Significant is that for Jung a Geist – Spirit concepts exist while it did not exist for Freud.
But how does this Spirit manifest itself and what is its connection to death in Jung opinion?
Jung is obsessed with the passage between life and death. His licence paper is about occultism.
An essential part of the soul remains alive thanks to the collective unconsciousness. The fact that
his guru was Filemone, a gnostic wise man dead thousand years ago, is not an accident.
On the other hand the confrontation with the unconsciousness, the nekya, means for Jung the
departure for the dead world. The collective uncounsciousness follows other rules than those of
cause and effect, it follows those of syncronicity. All this talk about death let us see- in Jung’s
opinion- a supposed apriori faith in a kind of immoratlity.
I would like to analyze these complex interconnections betweemn these experiences and death in
Jung’s theory.
Per motivi di migliore sistematicità ho scelto di approfondire il rapporto complesso religione
-morte- immortalità in Jung paragonandola con lo stesso rapporto religione - morte in Freud. In
fondo i due, uno il maestro e l’altro il discepolo prediletto hanno costruito le loro concezioni sulla
religione confrontandosi l’uno con l’altro
La paura della paura della morte e il bisogno di credere in Sigmund Freud
Per Sigmund Freud la religione è una forma di illusione, illudersi che le sofferenze hanno un
senso, che il mondo e condotto da un Dio buono, paterno e da una Provvidenza. Il bambino, e
similmente a lui tutti i uomini e tutte le culture primitive costruiscono l’immagine di Dio sul
modello del padre 1 che protegge, impone le regole e perdona. Questi meccanismi difensivil’illusione
di essere protetto, perdonato, sono per Freud le punti chiave della religione. Infatti tre
sono i compiti fondamentali del Dio e degli dei: esorcizzare le paure sentite davanti alla natura,
riconciliarlo con la crudeltà del destino, in particolare modo quando questa si manifesta attraverso
al morte e infine rappacificarlo con le regole imposte dalla società2. Probabilmente il secondo
compito della religione, quello di dare senso a un destino crudele e alla morte è il compito più
difficile, e spesso l’uomo rimane tragicamente deluso, con il presentimento che nemmeno gli Dei, o
Dio possono cambiare il destino. Infatti nella Grecia antica le Moire, che tessono e poi tagliano il
filo del destino, stano sopra gli dei, e cosi anche gli dei hanno un destino alcune volte doloroso ed
ineluttabile.
Freud considera che la negazione della morte, la sublimazione della paura della morte in
religione avviene in diverse forme: attraverso la nascita della credenza negli spiriti dei defunti3
che sopravvivono in una forma o altra; attraverso il sacrificio, sacrificio che rende senso
all’esperienza della morte e attraverso il mito della resurrezione.
Cosi il concetto di Dio, di Sacro nasce come negazione della tragicità della morte, cosi un nulla
assoluto, un nonsenso, l’esperienza dell’enigma par l’excellence, l’enigma della morte, vengono
compensate con un tutto assoluto, con la pienezza del significato, la nonesistenza assoluta viene
compensata con una esistenza suprema4.
Ma con l’illusione protettrice che ce la offre della religione l’uomo rimane sempre un bambino,
che si nasconde dietro l’immagine del padre per esser protetto dalla morte e dal proprio destino.
Freud da vero erede degli illuministi5 e del positivismo considerala paura della morte come un
residuo delle epoche precedenti di cui l’uomo moderno deve liberarsi, e le religioni, gli spiriti e le
oscure ombre dell’inconscio sono appunto le malattie portate da rimanenze di uno stadio
pre-cosciente , paure che la condizionano negativamente e di cui si deve eliberare. Invece Freud non
ci spiega cosa si dovrebbe fare, come si dovrebbe gestire questa paura.
Nelle sue opere tardive6 lui stabilisce addirittura che dentro di noi accanto alla pulsione erotica,
che cerca la soddisfazione degli impulsi e dei desideri, c’è anche il principio tanatico, la pusione di
morte cioè la ricerca inconscia della rovina e dell’autodistruzione. Questa pulsione si nasconde
spesso dietro discorsi di valori della vita, per esempio del motivo della guerra (independenza,
libertà), il gusto del gioco di azzardo o gli sport estremi. Attraverso questo istinto siamo noi stessi
che desideriamo provocare la nostra morte.
Jung e la religione
Non mi propongo qui di dare un’immagine complessiva della religione in C.G. Jung, che
comunque sarebbe un lavoro molto più impegnativo, vorrei solamente sottolineare che il punto di
origine dell’esperienza religiosa in Jung è radicalmente diverso da quello di Freud.
Seguendo anche in Jung l’esperienza religiosa primaria vediamo la sua autobiografia. La sua
prima esperienza scombussolante del sacro, a quattro anni è il sogno dove ha la visione del dio fallo
sotterraneo interpretata cosi dell’autore.
Chi parlava in me? Quale spirito aveva immaginato quelle esperienze? Quale intelligenza
superiore operava? (…) Chi congiungeva il mondo celeste con il mondo sotteraneo e poneva le
fondamenta di tutto ciò che avrebbe agiato la seconda metà della mia vita con tumulti appassionati?
(…) Chi se non quel ospite straniero venuto sia del mondo celeste che da quello degli inferi?7
Certamente si tratta dell’interpretazione di Jung ottantenne e non del vissuto di Jung bambino.
Comunque vediamo che l’esperienza religiosa originaria è interpretata come l’irruzione di qualcosa
di estraneo nella coscienza ovvero nel sogno del fanciullo. Questo “ospite straniero”, non appartiene
al proprio, al familiare, ma è qualcosa totalmente diverso, un “ganz andere” , di un’età immensa che
impone con un senso indiscutibile di oggettività la sua presenza. La rappresentazione del Dio come
phallos cioè come uno spirito fecondatore verrà approfondita da Jung in Wandlungen der Symbole.
Nel ricordo è risentito come uno spirito superiore che stravolge ed affascina sia il bambino sia
l’anziano Jung che ricorda e che interpreta questo sogno come una sacra iniziazione, un collegarsi
del cielo con il mondo sotterraneo, un momento sacro che lo porta fuori dal tempo, per mostrargli in
noce tutta la opera futura della sua vita, tutta la sua vocazione.
Jung avrà ancora molti sogni in cui il mondo del sacro gli si impone scombussolando la
concezione comune della religione, ma nessuna di queste esperienze è collegata con qualche forma
di paura della morte. I sentimenti con la quale sono descritte le esperienze religiose sono tutt’altre.
Per esempio come fanciullo, lui scopre che oltre la sua personalità infantile cangiante lui è anche
un altro, ha una seconda personalità descritta cosi. Oltre al suo mondo scolaresco:
esisteva un altro regno, un tempio nel quale chi entrava si sentiva trasformato e di colpo
soprafatto da una visione dell’intero cosmo, si da dimenticare se stesso, vinto dallo stupore e
dall’ammirazione. Qui viveva “l’Altro” al quale Dio era noto come un segreto nascosto, personale e
al tempo stesso più che personale; qui nulla divideva l’uomo da Dio, come se la mente umana
potesse mirare la Creazione all’unisono con Lui (RSR, p.74)8
Jung scopre che c’è una parte profonda in noi per la quale la vicinanza del Sacro è naturale, anzi
che veste alcuni tratti del sacro, che trasforma e rende invincibili. Sembra che infatti al questo
livello si vive in una vera unione segreta permanente tra dio e uomo. Certamente questo sentire e
questa scoperta deve rimanere segreta.
Proprio questa è l’età quando il piccolo crea legami segreti con il fuoco che diviene attraverso un
investimento animistico il “fuoco eterno, con la sua pietra che diventa lui stesso, con un bambolotto
da lui costruito, il cui facsimile lo scoprirà molto più tardi in un tribù africano. Il ricordo di queste
esperienze fanciullesche non lo porteranno alla conclusione che l’esperienza religiosa primaria sia
qualcosa di infantile, al contrario, che esiste una oggettività nelle metamorfosi, nelle vicende dello
psyche che si manifesta attraverso simboli religiosi universali. Il fatto che l’ investimento animistico
spontaneo del mondo in aura sacra risentita come miracolosa, scioccante e segreta è una proiezione
della nostra anima non riduce il suo valore poiché non possiamo in nessun caso banalizzare o
semplificare l’anima, ovvero lo spirito umano.
I sentimenti dominanti dell’esperienza religiosa sono lo stupore- lo scombussolamento degli
comuni criteri del sentire religioso e nello stesso tempo l’ammirazione, il sentimento che qualcosa
grandioso e miracoloso ci si manifesta, tutte queste avvolte in un segreto nella quale le più belle
rivelazioni individuali devono essere avvolte. Cosi Jung rimane con il sentimento che al di la del’
esperienza religiosa comune “c’è qualche altra cosa, una cosa assai segreta di cui nessuno sa niente
(p.48).
Se prendiamo come riferimento la definizione dell’esperienza religiosa di Rudolf Otto,
possiamo dire che Freud accentua l’importanza del sentimento creaturale- il sentirsi polvere e
cenere avanti al padre- creatore, e del tremendo- della paura angosciante, nella nascita della
religione (come risposta a queste angosce ) mentre Jung accentua l’elemento fascinans, la
fascinazione e l’energia.
L’inconscio e l’anima mundi, l’eredità romantica dello psicoanalisi.
La psicologia analitica di Jung, come la psicoanalisi di Freud è tardo erede del romanticismo10,
solo che i loro modi di elaboralo sono diverse. La sola psicoanalisi invece è l’erede del positivismo,
dello scientismo e del darwinismo, e rinuncia al livello cosmico dell’inconscio dove secondo il
romanticismo la natura e lo spirito ritrovano i loro sorgenti comuni; La psicologia analitica rifiuta
l’illuminismo e ritorna alle fonti originali della psichiatria romantica e della filosofia della natura.
Questa differenza determina chiaramente anche la loro diversa visione dello spirito e della morte.
D’altronde secondo Barnaby e Acierno la differenza fondamentale tra Jung e Freud è proprio il fatto
che mentre per Jung esiste un concetto dello spirito mentre per Freud no. Vediamo in poche righe
cosa intendeva il romanticismo con lo Spirito e da qui si vedranno chiaramente le somiglianze con il
concetto dell’inconscio collettivo di Jung.
Il romanticismo, in opposizione con l’illuminismo affermava i valori dell’irrazionale, di qui
l’interesse per le manifestazioni dell’inconscio: sogno, genialità, malattia mentale, miti e simboli –
che non erano concetti astratti o errori della storia ma forze vitale e realtà. Cosa è l’inconscio nel
romanticismo? I romantici ritenevano che il fondamento della natura è lo stesso fondamento
dell’anima umana, per loro c’è un unità fondamentale tra l’uomo e natura. “La natura è spirito
visibile, lo spirito è natura invisibile” diceva Schelling. L’anima del mondo ha prodotto la materia,
la natura vivente e nell'uomo la conoscenza. Secondo Carus11, che ebbe un’influenza decisiva su
Jung l’inconscio è il vero fondamento dell’essere umano, essere le cui radici affondavano nella vita
invisibile dell’universo e perciò era il vero legame dell’uomo con la natura.
Per Schopenhauer la cosa in se kantiana è uguale alla volontà e all’inconscio. Questa è una forza
dinamica cieca che regna nell’universo e che guida l’uomo, ma che lo inganna anche, guida i nostri
pensieri ed è l’antagonista dell’intelletto. Infine, per Eduard von Hartmann l’inconscio, è
intelligente anche se cieco, fa da struttura portante all’universo visibile e veste tre forme; inconscio
psicologico, fisiologico e l’inconscio assoluto- che è la sostanza dell’universo. Nel pensiero
antropologico e psicologico di Schopenhauer e poi nel pensiero neoromantico di Nietzsche
possiamo trovare molti termini, concetti, discorsi simili a quelli di Freud, ma nella rappresentazione
dell’inconscio Freud esclude quell’elemento romantico che collegava l’anima umana con l’intero
universo. Jung invece ristabilisce questo legame tra anima individuale e anima mundi attraverso
l’inconscio collettivo.
Il romanticismo aveva un’attrazione anche verso la morte, che attraverso quest’anima mundi o
grund assicurava la sopravvivenza dell’anima.
Jung e la morte
Nel pensiero razionale-illuministico freudiano, anche se il ruolo della ragione è quella di
svelare i meccanismi irrazionali – fin’allora negati - e togliere i nostri pregiudizi su noi stessi, non
per trovare il senso positivo, profondamente umano a questa irrazionalità e alle pregiudizi, come fa
l’ermeneutica, ma per poterla considerare una cosa infantile, oscura, da oltrepassare. Alla fine
togliendo diritto di cittadinanza di tutto ciò che è irrazionale, l’uomo perde il legame con la propria
mondaneità e con la sua anima, che è molto più della razionalità ovvero della coscienza umana, la
paura, l’angoscia avanti alla morte aumenta e appare in diverse forme nevrotiche, poiché la morte
sembra insensata, non sembra più una meta o un compimento12 della vita.
La religione è una preparazione alla morte, e le idee mitologiche-religiose non sono imposte da
un pensiero razionale ma ci assalgono dalla profondità dello nostro più profondo strato psichico,
che non ha a che fare con la coscienza. Le verità religiose ci assalgono come rivelazioni., proprio
perché sono prodotti spontanei dell’inconscio e perché hanno una storia considerabile.
Essi sono lentamente cresciuti, come piante, nel corso dei millenni, quali manifestazioni naturali
dell’anima dell’umanità.
E loro ci aiutano a capire, ad accettare come vicenda naturale dell’anima, che la morte è proprio
il compimento della vita.
Cosi come la traiettoria di un proiettile termina al bersaglio, la vita termina nella morte, che è
quindi il bersaglio, lo scopo di tutta la vita.14
Jung e ossessionato dal passaggio vita morte
le mie opere sono stati tentativi sempre ripetuti di dare una risposta al problema della
correlazione tra “al di qua” e “al di là” (RSR p.354) ma nelle sue opere possiamo parlare
dell’angoscia della morte solo come una forma malata di paura del vivere.
Lui ha scelto di scrivere la sua tesi di laurea sull’occultismo- proprio perché lui credeva apriori,
grazie alle proprie esperienze, in una certa forma d’immortalità dell’anima. Poi non dobbiamo
dimenticare la sua nekya, la discesa nel regno dei morti e il dialogo gnostico Septem Sermones ad
mortuos che collegano la vita con la morte attraverso l’inconscio collettivo.
Come studente nelle conferenze di Zoofingia Jung ipotizzava già l’esistenza di un anima:
immateriale, trascendente, fuori del tempo e dello spazio, da sottoporre a un’indagine scientifica
attraverso lo studio del sonnambulismo, l’ipnosi e le manifestazioni spiritistiche. La sua opera mira
tal scopo, a dimostrare con mezzi scientifici, attraverso l’empirismo e fenomenologia, l’esistenza di
questa anima eterna.
Il punto di partenza per Jung per formarsi una opinione sulle basi scientifiche sulla vita
dell’aldilà è costituito dagli indizi che ci vengono dall’inconscio per esempio nei sogni, anche se
una tale teoria sarà costruita sulla intuizione e rimarrà sempre ipotetica, ma ci potrebbe rendere
piena la vita.
Dalla sua esperienza psichiatrica, dai molti analisi dei sogni dei moribondi o dei malati Jung
osserva quanto poco conto l’anima inconscia facesse della morte.15 L’inconscio si preoccupa tanto
che l’uomo che sta per morire diventa cosciente dalla vicinanza della morte, è una grande differenza
che la coscienza vada a pari passo con l’anima, oppure si abbrachi ai pensieri che il cuore ignora.
Ma una volta coscientizzata la vicinanza alla morte i sogni diventano normali, comuni. Come se la
morte fosse una cosa non tanto essenziale, al massimo una tappa che si deve conscientizzare. Poiché
“la morte significa uno stato di estinzione della coscienza e quindi una sospensione totale della
vita psichica nella misura in cui questa è capace di coscienza.”16
Sembra che l’inconscio, cioè l’anima umana si preoccupi di più del modo in cui si muore che del
fatto effettivo che si muore. Tutto questo perché solo la vita consciente smette di esistere ciò che
presuppone che ci sarà un’altra parte , la parte inconscia dello spirito, l’anima umana, che abbiamo
visto possiede una certa autonomia prosegue la sua strada. Per essa la morte non coincide con la
conclusione di un processo ma uno tra i molti eventi lungo la via dell’individuazione.
Anima e eternità
Nelle sue introduzioni al Libro tibetano dei morti e al Libro tibetano della grande liberazione
critica il pensiero Occidentale per aver rinunciato dopo il medioevo al ragionamento analogico, alla
credenza in uno Spirito attraverso il quale l’anima individuale sia legata all’universo, e all’anima
del mondo17. E la conseguenza dello sviluppo della filosofia occidentale di aver staccato lo spirito
“dalla sua originaria unità con l’Universo” “L’uomo ha smesso di essere microcosmo” la sua anima
non è più “la scintilla consustanziale di questo né una scintilla dell’anima del mondo
Chiaramente risulta che il mondo umano viene costruito dalle proprie credenze, più che di una
verità razionalistica. La sua nostalgia e le sue intenzioni si inquadrano nella filosofia romantica
della natura e nella psichiatria neoromantica ma non significano meno desiderio di ritrovare il
legame dell’anima con la natura profonda delle cose. Lui vuole ricollegare lo spirito umano con la
sua originaria unità con l’universo.
L’Oriente, al contrario dell’Occidente non ha rinunciato allo Spirito, come dimostrano i libri da
lui introdotti.
Jung dichiara di non aver nessun presupposto metafisico bensì la sua teoria dell’inconscio
collettivo é una forma di Anima Mundi collegata con lo spirito individuale, vestita e spiegata in
panni scientifici. La sua teoria dell’inconscio collettivo è una dimostrazione scientifica
dell’esistenza di uno spirito oggettivo, autonomo, fondamento delle immagini dell’anima.
In effetti, anche se usiamo spesso il termine anima, spesso con connotazioni riduzioniste “né
sappiamo, né supponiamo di sapere che cosa sia lo psichico”. I simboli religiosi, o le proiezioni
animistiche provengono dallo Spirito inconscio, dalla psiche ma l’essenza della psiche si estende in
tenebre che sono molto al di là delle nostre categorie intellettuali18 (AM, p.444).
La coscienza individuale è considerata come espressione momentanea e caduca di un’altra
sostanza che invece perdura.
Quando riflettiamo sull’incessante sorgere e decadere della vita e della civiltà, non possiamo
sottrarci a un impressione di assoluta nullità, ma io non ho mai perduto il senso che qualcosa vive e
dura oltre questo eterno fluire. Quello che noi vediamo è il fiore che passa, ma il rizoma perdura.19
Per circoscrivere il modo di esistere di quest’anima che perdura, oltre la vita individuale, Jung
mette in discussione la validità, i limiti della validità dei concetti spazio, tempo, causalità. Infatti lui
considera le categorie kantiene della coscienza come categorie apriori che si limitano a definire la
coscienza, imponendole i limiti di funzionamento, dando un fondamento valido alla sua idea sulla
esistenza di una parte dell’inconscio che non entra in quelle categorie cioè nell’esistenza dello
spirito extra spazio – temporale.
Comunque sono indicazioni nei sogni, miti, fantasie, che almeno una parte della psiche
non è soggetta alle leggi dello spazio e del tempo- prove di esperimenti di percezioni extra- spaziali,
la psiche a volte funziona al di fuori della legge di causalità spazio –temporale.
Uno degli argomenti più forti per dimostrare la realtà dell’anima fuori dello spazio-tempo sono
gli eventi sincronici, modello elaborato di Jung in collaborazione con il fisico W. Pauli, che ha
aggiunto fatti provenienti dalla fisica elementare. Gli eventi sincronici sono legami acausali tra
eventi oggettivi ed eventi soggettivi, la significativa coincidenza o corrispondenza tra un
accadimento psichico ed uno fisico. Il loro legame non può essere ridotta a una causalità nello
spazio tempo, ma hanno un’unità di senso.
Cosi: Dobbiamo prendere in considerazione il fatto che il nostro mondo- con tempo, spazio e
causalità- è in rapporto con un altro ordine di cose (che si cela sotto o dietro di esso), nel quale né
qui e li, ne prima e dopo hanno un significato20.
Come conclusione ovvia a questi fatti per Jung si impone il fatto che:
AM, p445 La psiche partecipa profondamente a una forma di realtà extra- spazio –temporale e
appartiene a ciò che in modo simbolico viene detto “eternità”.
Intendiamo attraverso questo temine eternità, non solo una sopravvivenza temporale dopo la
morte, ma il fatto che l’anima nello stesso tempo che in maniera conscia vive nello spazio tempo, la
sua parte che appartiene all’inconscio collettivo o all’anima mundi, vive la sua condizione che
trascende lo spazio e il tempo
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