Teszler Lucia
RUMI’s
World , the Life and Work of the great Sufi Poet di Annemarie Schimmel
Rumi è uno dei più importanti
personaggi della mistica sufi medievale, onorato ancora oggi, non solo in
Turchia, dove è morto, ma in tutto il mondo. In Europa Occidentale i suoi versi
sono arrivati grazie alle traduzioni degli orientalisti tedeschi e inglesi
dell'Ottocento. In Italia fu tradotto prima da Italo Pizzi (1894), poi da
Alessandro Bausani (1980) e in seguito sono state pubblicate anche altre
collezioni delle sue poesie prese dal Diwan. La traduzione completa della sua
opera magna, il Mathnavi, la dobbiamo a Gabriel Mandel Khan, che offre una
traduzione fedele alla lettera dell'opera e, nell'introduzione, spiega il senso
spirituale delle tappe della danza sacra che caratterizza questa tariqa
sufi, il Sama.
Atatürk vietò il Sama e
chiuse le tariqa in Turchia, nel tentativo di soddisfare le potenze
europee, che all'epoca consideravano la religione una fase da superare nello
sviluppo della società. Tuttavia, nel 1954 a Konya, il Sama riprese, e gli
strumenti musicali, ben nascosti fino ad allora, ricomparvero. Questo momento
di risveglio rappresenta il punto di avvio del libro che intendo recensire.
Annemarie Schimmel è stata una
delle più importanti studiose di mistica islamica e ha dedicato a Rumi almeno
tre libri. Due di questi libri sono stati pubblicati con lo stesso titolo,
nonostante siano libri diversi. Probabilmente all'autrice piaceva tanto questo
verso di Rumi. Entrambi i libri presentano Rumi, la sua concezione di Dio,
dell'uomo e della vita, ma non sono lo stesso libro. Il primo fu pubblicato in
tedesco con il titolo Ich bin Wind, du bist Feuer. Quando uscì il libro I
am Wind, You are Fire, si pensava fosse lo stesso libro. Per evitare il
malinteso, nella seconda edizione questa opera porta il titolo Rumi's World:
The Life and Work of the Great Sufi Poet. Io parlerò qui di questo libro
che quindi apparve prima volta col titolo I am Wind you are Fire.
Il verso da cui è tratto il titolo proviene da una poesia di
Rumi inclusa nel Divan per Shams-e Tabrizi:
من چو
بادم تو چو آتش من تو را انگیختم (Io sono il vento, tu sei la
fiamma, io ti faccio danzare)
Precedentemente, prima che l'amore pronunciasse questa
frase, il poeta racconta come divenne poeta mescolando il veleno con la cura,
trovando la cura al veleno, al dolore, mescolando l'acido con lo zucchero.
L'amore gli dice: "D'accordo, ma non pensare che tutto ciò provenga da te
stesso. Sono io il vento (inteso come respiro, soffio, spirito) e tu sei la mia
fiamma (in tutti i sensi concreti e metaforici). È lo spirito dell'amore che fa
danzare la fiamma, è lui che lo muove e lo rende bello."
Annemarie Schimmel, professoressa
di teologia islamica ad Ankara, ci descrive l'emozione del momento in cui, dopo
29 anni di divieto imposto dalle leggi di Ataturk, i dervisci rotanti poterono
nuovamente eseguire il rito del Sama, addirittura nella moschea Yesil Turbe di
Konya. Ataturk chiuse gli ordini religiosi e trasformò la casa dei dervisci in
un museo; tuttavia, la gente continuava a visitare il museo come se fosse un
pellegrinaggio. Il museo esiste ancora oggi. Il libro Rumi's World si
apre e si chiude con riferimento a questo grande evento, rappresentando di
fatto l'occasione per la sua scrittura.
Nell’introduzione l'autrice ci
porta in viaggio come un pellegrinaggio da Ankara a Konya, al mausoleo di Rumi.
Le diverse tappe del lento viaggio (il lago salato, i monti di origine
vulcanica, il caravanserraglio di origine selgiuchide, il cimitero all'entrata
di Konya, una moschea con un bel mihrab, una madrassa dei tempi di Mevlana)
sono intese come tappe della via spirituale verso Konya, per incontrare Rumi ed
entrare nel suo mondo. Il libro si chiude con un capitolo dedicato alla musica
e alla danza estatica rituale (Sama), ricordando l'evento di dicembre del 1954,
quando per la prima volta furono celebrate le nozze celesti di Rumi a Konya, un
evento che da allora viene commemorato ogni anno nel mese di dicembre. Le nozze
sacre si riferiscono alla morte di Rumi, che egli stesso descriveva non come un
momento di tristezza ma come un'unione mistica con il Grande Amato.
Nel secondo capitolo accompagniamo Rumi e la
sua famiglia nel viaggio dall’Asia Centrale verso Konya, scoprendo le
inclinazioni mistiche di suo padre e le cause della loro partenza. Il re di
Corasmia uccise alcuni mercanti e ambasciatori mongoli, scatenando così l’ira
dei Mongoli. Di conseguenza, la famiglia di Rumi si spostò dapprima a
Samarcanda e poi decise di compiere il pellegrinaggio alla Mecca. Per un
periodo si stabilirono a Damasco e ad Aleppo, dove Rumi proseguì i suoi studi,
prima di trasferirsi a Laranda, nel Karaman, al centro dell’Anatolia. A Laranda
morirono la madre di Rumi e altri membri della famiglia. Qui Rumi si sposò e
nacque il suo primo figlio. La crescita dei suoi tre figli è descritta nelle
sue poesie, dove egli li vede come manifestazioni del divino, nuovi fiori
germogliati nel giardino dell’esistenza. Infine, la famiglia si trasferì nella
capitale del regno selgiuchide, a Konya, dove il padre di Rumi insegnò per
cinque anni. Alla morte del padre, Rumi proseguì l’attività di insegnamento
nella scuola, affiancato da un amico del padre che lo guidò nella sua
formazione. Fu grazie a lui che Rumi studiò Sanai (m. 1131), poeta mistico e
primo autore di un Mathnavi. Sanai descrisse in modo allegorico il
viaggio dell’anima verso Dio, diventando per Rumi un modello di maestro
spirituale. Rumi approfondì ulteriormente i suoi studi a Damasco, dove entrò in
contatto con i discepoli di Ibn Arabi e la loro dottrina del wahdat al-wujud
(unità dell’essere). Tuttavia, la teologia di Rumi si sviluppò in una direzione
più incentrata sulla ‘ragione del cuore’ che sull’intelletto razionale.
Ma quando avviene il grande
cambiamento nella vita di Rumi?
Rumi era un rispettato giurista e teologo a Konya quando un giorno incontra un
sufi errante, Shams di Tabriz, che con intransigenza gli mostra la vacuità
della conoscenza livresca se non è accompagnata dalla conoscenza attraverso il
cuore. Questo evento travolge la vita di Rumi, risvegliando il poeta che era
assopito dentro di lui. Il suo viaggio interiore verso l'amore divino e la
poesia mistica iniziò solo dopo questo incontro. Si può dire che Shams abbia
aiutato Rumi a trascendere il mondo della mente per entrare nel mondo del
cuore. Il fascino esercitato da Shams su Rumi fu tale che egli firma le sue
poesie con il nome di Shams e chiama la sua raccolta di versi Divan-e
Shams-e Tabrizi.
Annemarie Schimmel si meraviglia
del fatto che Rumi non faccia alcun accenno ad Al-Ghazali nelle sue opere,
nonostante l'importanza del pensatore e del suo influsso sul sufismo. Al-Ghazali,
nella sua opera principale La Revivificazione delle scienze
religiose (Ihya' 'Ulum al-Din), spiega come la teologia e la
filosofia, pur essendo importanti, siano strade cieche; solo la via del cuore e
dell'amore consente di conoscere davvero Dio. A partire da questa osservazione,
è interessante riflettere anche sul contributo di Ahmad al-Ghazali, il fratello
minore. Lui pensa che l’amore divino è il principio più elevato e il motore di
ogni trasformazione spirituale, inoltre il rapporto tra l’amante (il sufi) e
l’Amato (Dio) è centrale nelle sue riflessioni
sull'amore divino raccolte nel Savaneh. Queste idee potrebbero aver influenzato
indirettamente il pensiero mistico di Rumi.
Per Rumi l’intero mondo è una
ierofania divina. Nei dintorni di Konya, specialmente in primavera, Annemarie
Schimmel trova spunti per spiegarci la poesia e il pensiero di Rumi. La
primavera, con il ritorno della potenza del sole, il disgelo e il risveglio
della vita, diventa per il poeta l’espressione della gloria divina. Attraverso
l’analogia con la primavera, comprendiamo la trasfigurazione che avviene quando
Dio si fa manifesto: ogni fiore e ogni uccello migratore lodano l’Onnipotente. Il
giglio sguaina la sua spada vincitrice contro la morte, la violetta si prostra
in adorazione, mentre la cicogna ritorna dal suo pellegrinaggio annuale alla
Mecca, come a compiere il suo rito di devozione. Tuttavia, l’inverno non è un
simbolo di male, poiché ogni stagione e ogni cosa in natura sono manifestazioni
della volontà di Dio. L’inverno rappresenta il periodo di raccoglimento, di
ritiro e accumulo di forze, necessario per sconfiggere il gelo e rinascere con
la primavera. Chi non sopravvive al gelo dell’inverno non potrà vivere la
rinascita della primavera.
In seguito l'opera esplora la
concezione di Dio e il compito dell’uomo secondo Rumi, la centralità della
preghiera e l’importanza dell’amore.
Dio, secondo un celebre hadith,
è il tesoro nascosto che volle farsi conoscere; perciò creò il mondo e si
manifesta continuamente in esso. Seguendo la tradizione musulmana, Dio ha molti
nomi, ma nessuno di questi lo definisce completamente, poiché ogni
determinazione sarebbe una limitazione. Egli è il Dio vivente che si manifesta
in ogni cosa.
La poesia di Rumi è un
pellegrinaggio attorno all’idea del Divino. Dio è l’architetto e il tessitore
del mondo: i colori e le forme del creato accennano tutti a lui. Tuttavia, Dio
è anche il creatore della legge nascosta che organizza tutto. Anche quando
manifesta il suo volto d’ira, Dio distrugge per costruire qualcosa di migliore:
fa soffrire la fame per donare sazietà, e fa sentire la sete per far apprezzare
l’acqua. La sua clemenza è nascosta nella sua ira. Egli è una coincidentia
oppositorum, in cui si manifestano insieme la Grazia (jamal) e l’Ira
(jalal), ciò che Rudolf Otto definisce come fascinans et tremendum.
La differenziazione e la divisione sono proprie del creato, ma in Dio gli
opposti coesistono, perché nulla può esistere senza il proprio contrario. Per
questo Annemarie Schimmel paragona Rumi ad altre tradizioni sapienziali, come
la filosofia dello yin-yang cinese o il pensiero di Meister Eckhart. Sostenere
la sapienza divina in un’epoca segnata da distruzioni e instabilità, come
quella in cui visse Rumi – anche lui costretto a lasciare la sua terra come
profugo – richiedeva una comprensione più profonda del disegno divino. Rumi
risponde a questo smarrimento con la potente immagine del 'filo bicolore', che
rappresenta l’intreccio di gioia e dolore, amore e ira, luce e oscurità nel
tessuto della vita. Dio è descritto come un tessitore divino che intreccia
questi fili contrastanti per creare un’opera perfetta. Sebbene agli occhi umani
questo disegno possa sembrare frammentario o contraddittorio, nella prospettiva
divina ogni colore, anche il più cupo, contribuisce alla bellezza dell’insieme.
Rumi ci insegna che anche le esperienze di distruzione e sofferenza, come
quelle che caratterizzarono il suo tempo, sono parte di un piano più grande,
che guida le creature verso l’unione con Dio. Nei periodi più travagliati dalla
guerra, Dio si rivela attraverso la voce dei poeti, che, pur tra le rovine,
continuano a parlare dell'amore. Questo amore diventa una manifestazione
trascendente, un messaggio che proviene dall'anima collettiva, pronta a
risvegliare i valori soppressi e dimenticati
Il neoplatonismo di Rumi si
rivela nella differenza tra adam, che rappresenta la potenzialità informe e
priva di vitalità ma capace di diventare qualsiasi cosa, e kibiriyya, la
potenza che forma e trasforma. Per Rumi, Dio è come un oceano, mentre noi siamo
schizzi d’acqua o onde: per un attimo sembriamo differenziarci, ma poi
ritorniamo, o meglio, desideriamo tornare, nell’oceano divino, ricollegarci con
l’unità divina. Per Rumi, la preghiera resta fondamentale, vissuta con
intensità come brama verso Dio, come il lamento del ney che vive il dolore
della separazione e per questo esprime bene il dolore dell’uomo che vive
lontano dall’Amato. Come in molti poeti persiani, la brama per la persona amata
e quella verso Dio sembrano confondersi. Il reale amato, irraggiungibile, è
Dio. Annemarie Schimmel, sottolinea come Rumi descriva la preghiera non solo
come un atto formale o rituale, ma come un’intima esperienza del cuore, un
desiderio ardente di unione con Dio, una via per raggiungere un'illuminazione
che trascende ogni separazione tra l'umano e il divino, dove studiosi delle
religioni riconoscono il modello di oratio infusa, chi prega lo fa perché è Dio
a pregare in lui.
Quando Dio offrì la fiducia (amana)
alla creazione, le montagne e i cieli la rifiutarono, consapevoli della
responsabilità immensa che comportava. L’uomo, forse senza comprenderne appieno
il significato, accettò. Per questo motivo, solo lui conosce i nomi che Dio
diede a ogni creatura, ed è dotato del dono del libero arbitrio e della
responsabilità. L’uomo è come un asino con ali d’angelo: un’immagine che non
manca di ironia, ma che esprime bene la dualità umana. L’uomo è un essere
anfibio: appartiene a due mondi, il materiale e lo spirituale. Per Rumi,
l’asino simboleggia l’ignoranza e l’attaccamento alla materialità. L’uomo, pur con tutti i suoi limiti, ha anche
ali d’angelo, che gli consentono di aspirare alla spiritualità e di elevarsi
verso il divino. A differenza di un asino o di un angelo, può scegliere il
proprio percorso nonostante sutto sia scritto nel grande libro di Dio. Ma
dobbiamo avere la consapevolezza del essere chicci di grano che vogliono salire
le tappe spirituali, senza questo sentimento creaturale, l’annullamento del
proprio Ego non si può andare avanti.
Un’altra domanda su cui l’autrice
si sofferma è „come si concilia il libero arbitrio con il fatto che tutto sia
scritto sulle tavole divine?” Per Rumi, questa apparente contraddizione si
risolve comprendendo l’unità e l’organicità del mondo. Il mondo è come una
grande tenda che tutti noi contribuiamo a costruire seguendo il nostro dovere.
Ogni atto responsabile abbellisce la tenda di Dio e glorifica il suo nome. Ogni
lavoro fatto bene è fatto per Dio, anche quello dei politici, a condizione che
agiscano con responsabilità e giustizia.
Rumi, padre di tre figli, era
profondamente ammirato dal segreto della nascita, dalla differenziazione del
feto nel grembo materno e dal bisogno, tanto dell’anima quanto del corpo, di
crescere. Egli osserva come il feto, ancora nel grembo, non possa immaginare il
mondo esterno, proprio come noi non possiamo immaginare il mondo che si trova
oltre la materia. Rumi paragona la madre al nafs, l’anima inferiore,
quella fisiologica, che cerca conforto e piacere. Il padre, invece, rappresenta
lo stimolo alla crescita, allo studio e al miglioramento delle proprie
capacità. Per lui, l’educazione è come una cottura lenta: non è un processo
rapido, ma richiede pazienza e perseveranza. Un motivo per cui Rumi sostiene la
vita matrimoniale è che il matrimonio insegna la pazienza. Nell’amore, i
metalli si trasformano in oro e i demoni in angeli. Nessun genitore, coniuge o
figlio dovrebbe mai dubitare che la perseveranza nell’amore porti benefici e
trasformazioni. Per Rumi, lo scopo della vita umana è diventare realmente
uomini. Non tutti coloro che hanno un volto umano possono essere considerati
tali, ma tutti possono diventarlo. Diventare uomini significa crescere
attraverso la sofferenza, e in particolare attraverso la sofferenza per amore.
Come accennato, il libro si
conclude con il capitolo dedicato alla danza estatica, così caratteristica
della tariqa di Mevlana. Sebbene la danza come pratica spirituale per
raggiungere l’estasi mistica esistesse nel sufismo prima di Rumi, fu
perfezionata e formalizzata da Lui nella sua tariqa. È probabile che alcuni
versi di Rumi venissero cantati, suonati e accompagnati dalla danza. La danza
era spesso accompagnata da strumenti musicali come il ney (il flauto di canna),
il riqq (tamburello) e la tambura (strumento a corda). Il ney, in particolare,
è lo strumento che rivela il segreto del brama e dell’amore; per suonare
dolcemente, il ney deve essere vuoto, diventando così uno strumento che
permette di percepire lo spirito divino. Tuttavia, sotto la penna di Rumi,
qualsiasi strumento può diventare un simbolo dell’anima inamorata di Dio.
Inoltre, la danza è una via estatica, una fuoriuscita dal mondo imperfetto
della gravità verso una forma di armonia perfetta anche nei riti dionisiaci e
nelle danze del sole dei nativi americani. Nel Sama, i dervisci
reiterano il movimento degli atomi, dei pianeti e di tutto il creato attorno al
centro dell’esistenza, l’unico che li rende viventi